Soppressione, alcuni dubbi di legittimità

L’articolo 15 del decreto – legge n. 138/2011, quello relativo alla soppressione delle Province (tra cui quella di Lodi) che presentano un numero di abitanti inferiore ai 300.000 oppure una estensione superficiaria al di sotto dei 3.000 Km quadrati, lascia aperte alcune perplessità di ordine costituzionale. In primo luogo, il decreto, sul punto, non dispone del presupposto della necessità che, insieme alla straordinarietà ed all’urgenza, costituisce una delle condizioni indefettibili, contemplate dall’art. 77 della Costituzione, affinché il Governo possa adottare “provvedimenti provvisori aventi forza di legge”. Infatti, l’Esecutivo può ricorrere alla decretazione legislativa d’urgenza unicamente nei soli casi in cui non è possibile utilizzare la via della legislazione ordinaria. A riguardo, tuttavia, nulla impediva al Governo della Repubblica la presentazione al Parlamento di un disegno di legge ordinaria, anche in vista di una riorganizzazione organica e sistematica delle autonomie locali territoriali. Inoltre, a conferma dell’assenza del presupposto della necessità, la esatta e puntuale indicazione delle Province che verranno soppresse (e sempre in caso di conversione in legge del decreto), é procastinata al prossimo censimento generale della popolazione fissato nel mese di ottobre 2011. In secondo luogo, la soppressione delle Province che non soddisfano i requisiti previsti dal decreto – legge, non rientra neppure nella piena disponibilità della legge dello Stato, dovendo essere sempre preceduta dall’iniziativa dei Comuni e dal parere (obbligatorio ma non vincolante) delle Regioni, come indica espressamente l’art. 133, 1° comma, della Carta Costituzionale. Se, però, da un lato, la norma costituzionale non parla espressamente di cancellazione ma solo di “mutamento delle circoscrizioni provinciali”, dall’altro, molti costituzionalisti ritengono che la soppressione, rappresentando la forma di mutamento più radicale dell’ente provinciale, non possa che svolgersi nell’alveo della previsione costituzionale citata. Il Governo, invece, con il suo provvedimento, non solo ha proceduto alla cancellazione delle Province che non soddisfano i criteri di cui sopra senza seguire l’iter indicato dalla norma costituzionale, ma anche lo ha utilizzato in modo non corrispondente alla sua ratio, obbligando i Comuni (art. 15, 2° comma, del decreto – legge n. 138/2011), insediati sull’area della Provincia soppressa, a scegliere la Provincia contermine alla quale essere aggregati nel rispetto del principio di continuità territoriale ovvero, in caso di inerzia dei Comuni, trasferendo alle Regioni le funzioni della Provincia soppressa che, a loro volta, possono delegarle ai Comuni o alle Province limitrofe. In questo modo, nel primo caso, l’iniziativa, intesa come facoltà di avvio dell’iter di mutamento/soppressione, viene in rilievo come un quid imposto autoritativamente da parte dello Stato, nel secondo caso, l’attribuzione alla Regione o ai Comuni oppure alle Province contermini, presuppone l’assenza di qualunque specificità territoriale e dimensionale che, invece, dovrebbe essere implicita in ogni attribuzione di funzioni e competenze. Da ultimo, la norma dell’art. 15 del decreto – legge sembra porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza che la Corte Costituzionale mutua dall’art. 3, 1° comma, Cost. Infatti, se l’obiettivo del Governo era (ed è) la riduzione delle spese, come ha rilevato uno dei massimi costituzionalisti italiani, il Prof. Avv. Mario Bertolissi dell’Università degli Studi di Padova, allora una eventuale soppressione avrebbe dovuto essere generalizzata (e questo richiede una revisione della Costituzione) e non condizionata alla presenza o meno di certi parametri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA