Venerdì sera 26 aprile a Sant’Angelo Lodigiano è stato tenuto uno degli incontri degli Stati generali del Lodigiano. Nel corso della serata ho preso la parola per sottolineare alcuni aspetti riguradanti la sanità del Lodigiano, che desidero riprendere per i lettori del «Cittadino». Mi limito a fare due considerazioni.La prima. Il messaggio fondamentale che oggi giunge ai cittadini quando si parla di welfare è il seguente: “..le risorse disponibili, per garantire i servizi socio-sanitari ad una popolazione che cresce ed invecchia, sono sempre meno, in alcuni casi esaurite e non si capisce come in futuro si potrà continuare ad erogare le prestazioni in atto…”. È certamente vero, innegabile e, quindi, un ripensamento doveroso dell’organizzazione indispensabile. Colpevolmente però, a fronte di tutto ciò, si continua a non intervenire in profondità, a livello strutturale, per eliminare sprechi enormi di risorse e la loro inefficiente ed irrazionale distribuzione. Permettetemi una parentesi: chi è stato in Africa, non sono un esperto ma mi è capitato alcune volte in questi anni di veder là alcuni ospedali, immediatamente capisce cosa voglia dire realmente povertà di risorse. Altro che in Italia, altro che nel Lodigiano! In buona parte questa storia delle risorse che non ci sono è una menzogna colossale che serve a coprire l’incapacità e la negligenza nel risolvere problemi annosi, tutt’ora causa di sprechi; una voragine senza fondo.La seconda breve osservazione, con il rischio di essere semplicistico e quindi frainteso (ma ci vorrebbe il tempo di una relazione), mi permette di entrare concretamente nella realtà sanitaria della nostra Provincia. Cosa significa quanto ho detto qualche minuto fa, applicato alla sanità lodigiana? A premessa di tutto, concordo sul fatto che uno degli obiettivi fondamentali della programmazione sanitaria, disatteso grandemente, avrebbe dovuto essere lo spostamento di risorse dall’ospedale al territorio. Da qua derivano alcune semplici cose:- Per un piccolo territorio omogeneo, insistere nella inconcepibile separazione fra ASL e Azienda Ospedaliera rappresenta il primo e maggiore ostacolo ad una diversa allocazione delle risorse e si oppone alla possibilità di trasferirne parte sui servizi territoriali. Al posto di migliorare, la situazione è peggiorata. Ci sono ancora numerose realtà in cui, per l’assenza di un’assistenza sanitaria a domicilio, la gente non può far altro che ricorrere, impropriamente, al pronto soccorso. Un esempio per capirci bene: per piccole prestazioni, ad esempio medicazioni o cambio di cateteri, se non esiste la rete del volontariato, non c’è altro da fare che andare in ospedale. Eppure ci sono esperienze nuove, già in atto anche in Italia, a dimostrazione che l’alternativa è possibile.- Ancora: ma come si fa a trasferire risorse sul territorio se, nonostante documenti ed appelli che personalmente ricordo da anni, si persevera con una organizzazione ospedaliera lodigiana che assorbe quasi tutte le risorse economiche ed umane, con sprechi notevoli ed, oltretutto, con un’offerta qualitativa mediocre in alcuni settori. Non siamo purtroppo soli in Italia nel continuare in questa follia. Vi basti un dato: 180 ospedali per acuti in Inghilterra, 400 in Spagna, 800 da noi!Per la Provincia di Lodi, nonostante alcune modifiche positive, ancora quattro ospedali classicamente intesi, con una fatica impressionante ad imboccare cambiamento, razionalizzazione, specializzazione, costruzione di una rete vera fra i quattro Presidi (non a parole!) e tanto altro. Non posso in tale sede scendere, non sarebbe neppure giusto, nei particolari. Il messaggio di fondo però è questo: conosco bene la realtà, sono ogni giorno sul campo, con tanti altri amici conserviamo la passione che va oltre a quanto ci è richiesto e posso dire che diverse sono le responsabilità del non cambiamento, in parte possibile anche nella vigente, seppur non condivisa, legislazione lombarda. C’è la responsabilità delle Direzioni Generali che si sono succedute, alcune completamente avulse dal territorio, che hanno fatto scelte inconcepibili (sulle strutture e sugli uomini: e mi fermo qua, non posso andare oltre). In questi ultimi anni però, per onestà intellettuale, mi pare che l’ostacolo principale a modifiche sostanziali dell’organizzazione ospedaliera, non sia da ascrivere alla mancanza di volontà dell’attuale dirigenza. Bisogna purtroppo affermare, per amore della verità, che la non collaborazione di molti medici ed infermieri (non tutti fortunatamente) nel sentirsi parte di una dimensione provinciale, appare un ostacolo insormontabile: non è più possibile arroccarsi su posizioni acquisite, a volte privilegiate, opponendosi a qualsiasi forma di innovazione nel modo di lavorare, per una migliore offerta di servizi ai cittadini. Spesso, durante la giornata in ospedale, mi chiedo: ma noi sanitari, toccati poco dalla crisi, ci rendiamo conto di quanto c’è fuori? Tutti abbiamo parenti, mariti, mogli, amici senza lavoro: a casa disoccupati! Eppure si va avanti, in diverse occasioni, imperterriti a non cambiare, a non aiutare a ridurre sprechi e disservizi! Una delle frasi più frequenti: “non tocca a me far questo”. Lascio a voi immaginare le conseguenze.Infine, importantissima, la responsabilità della politica, delle amministrazioni pubbliche che, illogicamente, senza alcuna base scientifica, contro ogni pronunciamento della letteratura, si oppongono a modifiche dei nostri ospedali, a migliorare situazioni a volte pericolose per i pazienti. Chi è addetto ai lavori sa a cosa mi riferisco: in particolare alla distribuzione dei pronti soccorso (ancora tre nel lodigiano!), alla parcellizzazione dei blocchi operatori, ai doppioni di specialità con casistiche modeste, ed altro ancora…Chiedo e dico, con rispetto, agli amministratori, a tanti di loro anche con l’amicizia che ci lega da anni: perché persistete in queste battaglie senza senso, perché non volete capire che ci sono situazioni che non sono un servizio ma un pericolo per i malati e grande spreco di risorse, altrimenti impiegabili? Una battuta, forse semplicistica: se fossi un sindaco pretenderei servizi territoriali all’avanguardia, possibilità di avere la diagnostica di base e gli ambulatori specialistici vicini a casa (quelli si!), ma non mi intrometterei certamente, spesso contrastandola, per una diversa organizzazione della gestione delle urgenze, dei casi gravi medici e chirurgici, se debbano esserci uno, due o tre pronti soccorso/punti di primo intervento o se invece è giusto che alcuni siano chiusi, quali reparti vanno potenziati e quali ridimensionati, ecc. Scusate la franchezza ma spesso manca anche la competenza per discutere di queste cose.Termino qua, ho forse abusato troppo del tempo. Spero solo di aver dato qualche spunto per la discussione ma soprattutto per la riflessione che, mi auguro, siamo disponibili a proseguire oltre queste mie considerazioni.
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