C’era una volta il consorzio agrario di Lodi, il secondo in Italia per disponibilità patrimoniale, uno dei più antichi e prestigiosi. La sua fine ingloriosa fa capolino nelle cronache locali, tra storie di debiti e stipendi non pagati. C’erano una volta i consorzi agrari, poderose strutture associative al servizio dell’impresa industriale e capitalistica e dell’agricoltura moderna, emblema dell’Italia operosa e rurale, baluardo della civiltà dei campi. Da bambino, negli anni Quaranta, giocavo davanti ai magazzini del consorzio agrario di Caltanissetta, situato in prossimità della stazione ferroviaria e delle palazzine dei ferrovieri dove abitavo, ed ero affascinato da quel grande edificio che spandeva un senso di sicurezza e protezione. Esso mi torna in mente ancora oggi tra montagne di granaglie e lunghe file di trattori nuovi fiammanti. Uguale impressione suscitano i consorzi padani, considerato che l’esperienza consorziale ha unificato la nazione da Gorizia a Trapani. C’è da precisare, però, che dopo il dissesto finanziario della Federconsorzi, che si è manifestato verso la fine degli anni Ottanta, i consorzi sembravano destinati a scomparire nelle aule dei tribunali. Così non è stato, per la sottile trama messa in atto dalle organizzazioni agricole, in primis dalla Coldiretti, e per la nuova attenzione politica, ma anche per l’orgoglio di strutture rafforzate dall’esperienza e dalla tradizione. E’ lecito pensare che ai piani di rinascita abbia fatto da innesco il riconoscimento della legittimità del credito di 400 milioni di euro vantato dalla Federconsorzi nei confronti dello Stato per le passate attività di gestione degli ammassi. E’ un fatto che oggi i consorzi rinascono a nuova vita, se crediamo ai numeri: sono 52 quelli provinciali e interprovinciali, di cui 33 in gestione ordinaria e solo 19 in amministrazione controllata, con un fatturato di 3 miliardi di euro. In apparenza, ogni unità cerca la sua strada: alcune si orientano verso l’agricoltura hobbistica e il giardinaggio, altre propendono per l’offerta di servizi più tradizionali aventi per oggetto macchine e trattori, punto di forza della gestione commerciale. Si percepisce dalla lettura della stampa tecnica che altro bolle in pentola nei settori più innovativi e di frontiera. C’è un progetto per costituire la filiera agricola tutta italiana (FAI), utilizzando quale strumento operativo proprio i consorzi agrari. Un altro riguarda la costituzione della società consortile per azioni CAI (Consorzi Agrari d’Italia). L’operazione più ambiziosa concerne la costituzione da parte di Enel Green Power e del CAI di una società a responsabilità limitata, detta NewCo, che detiene quote azionarie, rispettivamente, del 51% e del 49%, e ha il compito di realizzare progetti di generazione di energia elettrica da biomasse. Si tratta di progetti tutti validissimi. L’importante è, però, che i consorzi risorgano in veste nuova e non siano costretti a operare in un quadro disperso e frammentario.Insomma molte sono le idee in campo per adeguare il vecchio assetto, che ha più di cento anni, ai cambiamenti intervenuti nel mondo associativo e cooperativo e l’auspicio è che gli sforzi siano coronati da successo. C’è però in questa vicenda un aspetto sul quale non concordo. Mi riferisco alla costituzione, nella maggior parte dei consorzi, compreso quello di Lodi, del Fondo immobiliare d’investimento Agris, tramite l’utilizzazione delle strutture di proprietà (magazzini, uffici, spacci, ecc.). Attualmente sono 24 i consorzi, rinati o tornati in buone acque, che vi hanno aderito, con 45 unità immobiliari e un portafoglio di cento milioni di euro. Il Fondo è ritenuto strategico perché può concorrere ad aggregare altri patrimoni agricoli privati e partecipare all’acquisto di terre demaniali dismesse dallo Stato, con l’obiettivo di favorire l’imprenditoria agricola giovanile ai sensi dell’art. 7 della legge Stabilità 2012. Le mie perplessità nascono dalla considerazione che i beni agricoli devono essere esclusivamente destinati a perseguire scopi agricoli e non ad alimentare pericolose tentazioni di speculazione immobiliare, suscettibili di sviare i consorzi dai compiti statutari e creare le premesse per un altro crack prossimo venturo. Non conviene soffiare sul fuoco della speculazione edilizia. A ciascuno il suo mestiere: i consorzi facciano i consorzi, le banche facciano le banche e gli immobiliaristi facciano gli immobiliaristi.
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