Siamo un popolo di corrotti?

Non sappiamo se davvero ci troviamo di fronte a una “seconda Tangentopoli”, come le testate informative e i media hanno definito l’ondata di inchieste in corso oggi (ma non da oggi) su presunte tangenti e scambi di favori fra politici e imprenditori. Cambiano i nomi, cambiano le situazioni ma per le cronache informative si tratta di un film in qualche modo già visto.Una recente indagine dell’istituto di ricerca Demopolis ha rilevato che secondo 6 italiani su 10 la corruzione è diffusa come ai tempi della “prima Repubblica” o si è addirittura aggravata. Il riferimento alla stagione in cui l’arresto di Mario Chiesa fece scoppiare per la prima volta in modo dirompente il bubbone del malaffare è per certi versi uno stereotipo, ma coglie nel segno quando sottolinea la stretta continuità fra i comportamenti illegali di allora e quelli attuali. Basta scorrere rapidamente i titoli principali di giornali e telegiornali degli ultimi anni per notare come la metafora della “seconda Tangentopoli” si ripresenti puntualmente di fronte a ogni nuovo caso di mazzette o in occasione di nuove inchieste su questo genere di pratica. Quella che il termine evoca è un’immagine di facile presa sull’immaginario popolare, che non dimentica la stagione tra il 1992 e il 1994, quando le indagini avviate dal pool della Procura della Repubblica di Milano guidato dal procuratore campo Francesco Saverio Borrelli squarciarono il velo su un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti che coinvolgeva i massimi livelli del mondo economico, finanziario e politico.Le inchieste attuali hanno un tenore parzialmente diverso e il fenomeno non conquista più le prime pagine dei quotidiani nazionali come fece quasi vent’anni fa, anche perché probabilmente le proporzioni sono inferiori. Ma in grande parte l’eco che quella stagione ebbe fu conseguenza proprio del livello di mediatizzazione che le inchieste giudiziarie seppero conquistare.Altra metafora ricorrente in questi ultimi tempi è quella che riguarda l’esistenza delle logge P3 e P4, in contiguità con la ben più nota P2 (Propaganda Due), loggia massonica segreta che sotto la guida di Licio Gelli tramò per sovvertire l’ordine istituzionale. Oggi il riferimento a quelle che in teoria sarebbero evoluzioni o appendici della P2 è utilizzato per le indagini in corso su (presunte) associazioni a delinquere costruite su una fittissima rete di rapporti tra imprenditori, uomini delle istituzioni, politici e magistrati. Il differente numero progressivo si associa all’ordine temporale della “scoperta” di questi sodalizi dalle dubbie finalità; se tanto ci dà tanto, all’emergere di nuovi gruppi di interesse più o meno segreti c’è da aspettarsi il riferimento a una P5, a una P6 e così via.Altre locuzioni ricorrenti in questo periodo sono quelle relative alla “questione morale” e alle attività più o meno oscure di personaggi che non si riesce a definire in altro modo se non come “faccendieri”. La prima – di fondamentale importanza in qualunque società civile – è un argomento brandito spesso come una clava dai leader politici per addossare allo schieramento avverso le responsabilità del presunto malaffare. In realtà, una questione morale ed etica si pone in ogni comportamento umano e assume rilievo ancora più forte rispetto all’interesse collettivo che l’azione politica per sua stessa natura dovrebbe tutelare e garantire.Sotto l’etichetta di faccendieri vengono invece catalogati tutti quei figuri che si muovono nell’ombra per tessere fitte ragnatele di rapporti per tutelare un interesse particolare a discapito di quello generale. In altri Paesi e in altri contesti si chiamano lobbisti, ma quest’ultimo termine presuppone un requisito di legalità e di trasparenza nell’azione dei diretti interessati che spesso manca nelle recenti vicende nostrane.Al di là della terminologia e delle etichette mediatiche che servono a conferire immediata riconoscibilità al prodotto giornalistico, resta nel pubblico la brutta e sconsolante impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di già visto e già sentito, in cui cambiano i nomi dei protagonisti ma i fatti e le malefatte oggetto di inchiesta sono sempre uguali.

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