Siamo messi proprio male: che ignoranti

«Ignoranti. L’Italia che non sa. L’Italia che non va» è l’ultimo libro pubblicato di recente da Roberto Ippolito, affermato scrittore e giornalista autore di altri capolavori a carattere socio-economico. Un libro che arriva in un momento di bassa cultura a tutti i livelli. Impietose sono le esilaranti gag che vengono quotidianamente presentate in televisione. Molti titoli di presentazione dei servizi televisivi, ad esempio, sono pieni di castronerie grammaticali e lessicali; i tanti parlamentari della vecchia e della nuova repubblica si rendono ridicoli per le risposte che arrancano alla «speriamo che me la cavo», venendo così colti in flagranza di bassa cultura (la trasmissione delle Iene non perdona); i nostri studenti sono finiti agli ultimi posti nelle valutazioni internazionali; l’analfabetismo è ancora massicciamente presente nella nostra società (metà della popolazione italiana ha al massimo la licenza media); moltissime domande dei recenti concorsi a preside e per docenti si sono rivelate errate (ignoranza di chi le ha preparate); un giovane su cinque, secondo una recentissima indagine, ha solo la licenza media (preoccupante), mentre solo tredici persone su cento in età lavorativa sono laureate. E in questo siamo gli ultimi della coda. Ma che sta succedendo alla cultura italiana? In un tale preoccupante stordimento culturale provo a dare qualche risposta. Partirei da un dato inconfutabile. In Italia si investe pochissimo in cultura e istruzione e tutti lo sanno. Lo sanno i responsabili dei Beni Culturali che lamentano le condizioni disastrose in cui versano le nostre antiche e storiche testimonianze; lo sanno i politici che hanno fatto dei tagli lineari all’istruzione, la soluzione ottimale ai problemi angoscianti del risparmio della spesa pubblica; lo sanno gli intellettuali che in più di un’occasione hanno gridato a voce alta la perdita di quel complesso di conoscenze (tradizioni e saperi) che nessuno più riesce a trasmettere alle giovani generazioni; lo sanno i giovani che vedono nell’espatrio la via che consente loro di trovare nel riscatto sociale, la valorizzazione culturale e professionale che da noi è preclusa. Siamo al penultimo posto tra i trentasei paesi europei in fatto di investimenti in istruzione e cultura in Europa. Un quadro sconfortante che offre un preciso spaccato del nostro livello economico, sociale e culturale. Dicono che la cultura non elimina la fame, ma è anche vero che la cultura, l’istruzione, rappresentano le condizioni per debellare la fame. Per qualcuno, ed è vero, non è questo il momento adatto per filosofare, quanto piuttosto bisogna ricercare le soluzioni per non finire in povertà. Giusto. Ma la povertà si vince anche cercando quella strada in salita che consente di ritrovare l’entusiasmo per il desiderio del nuovo, per il desiderio di approfondire la conoscenza, di acquisire competenze per appropriarsi del proprio destino. E’ certo che la sola conoscenza è sufficiente a superare incertezze e abbandoni. Attenzione però. Conoscere non vuol dire aver letto tanti libri o essere depositari dei loro contenuti, quanto saper gestire le proprie idee per cercare le migliori soluzioni agli enigmi della vita. «Si tratta - scrive Edgar Morin, filosofo e sociologo - di armare ogni mente nel combattimento vitale per la lucidità». Forse filosofare di questi tempi può essere considerato fuori posto, ma la storia è piena di esempi che dicono esattamente il contrario. Uno per tutti. Talete filosofo, studioso anche di astronomia, ridicolizzato dai suoi compaesani, ferito nell’orgoglio dagli ingiusti sarcasmi, volle dimostrare quanto facile fosse per lui arricchirsi. Dopo un periodo di magra, predisse un buon raccolto di olive, talché si fece prestare i soldi da suo padre e acquistò tutti i frantoi della zona. Al momento opportuno questa operazione finanziaria si rivelò redditizia. Nell’autunno successivo, infatti, il raccolto delle olive fu abbondante. Talete, per la spremitura, in regime di monopolio, impose i prezzi tanto da guadagnare un sacco di soldi che lasciò poi alla comunità. Si prese una bella rivincita.L’istruzione più che un problema deve essere considerata un’utile opportunità per impostare un cammino, per cambiare un clima, una cultura, un modo di vivere. Ai giovani bisogna riservare più certezze, più occasioni di crescita per aiutarli a scoprire che oltre agli abiti firmati, ai cellulari di ultima generazione, ai ritocchi fisici di labbra, tette e glutei, espressioni di un vuoto narcisismo, c’è l’istruzione come investimento per ricominciare a risalire la china, iniziando il cammino da dove si è improvvisamente precipitati. «E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena» ci ricorda Michel de Montaigne. E allora si deve ritornare a investire in cultura, in istruzione proprio per dare a tutti i ragazzi quelle opportunità di conoscenza che prima, vuoi per scelta, vuoi per necessità, ai genitori sono state negate. La cultura in generale e l’istruzione in particolare raramente sono prese in debita considerazione perché ritenute improdutti-ve e quando un paese non ricava profitti da strategie di crescita economica, diventa sordo alle sollecitazioni di chi vuole un cambio di rotta. Sono convincimenti errati che tuttavia trovano largo spazio anche nelle aule scolastiche. La scuola degli ignoranti cerca spesso di prevaricare la scuola di chi studia e si impegna. Quante volte, infatti, ci troviamo di fronte a ragazzi motivati, interessati a migliorare le proprie capacità intuitive, presi dal desiderio di accrescere le proprie conoscenze, considerati punti di riferimento dagli stessi insegnanti e nello stesso tempo presi di mira dai loro compagni di classe proprio per queste qualità? La cronaca ci ricorda casi di studenti volenterosi fatti oggetto di scherni e di ogni altro tipo di sfottò fino a spingerli a rivedere il proprio grado di impegno o peggio ancora a costringerli a «cambiare aria» pur di ritrovare altrove serenità e concentrazione.L’istruzione è il vero motore della crescita sociale, civile, economica e culturale di un popolo. «Tagliare il deficit riducendo gli investimenti nell’innovazione e nell’istruzione è come alleggerire un aereo troppo carico togliendo il motore». A dirlo è un certo Barack Obama. Anche per questo bisogna cambiare rotta.

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