Si può mai odiare la scuola? A leggere certe notizie pare proprio di sì. Se poi l’odio cova nell’animo dei ragazzi, allora la tristezza si raddoppia. Primo perchè l’odio in quanto sentimento perverso anche se viene covato per qualcosa, facilmente si sposta verso qualcuno. Poi perchè si sposta sempre su ciò che questo qualcuno rappresenta. Allora bisogna chiedersi perché un ragazzo arriva a odiare la scuola e chi la rappresenta. Qual è la molla che spinge a trasformare l’odio in gesto sconsiderato? E veniamo alla cronaca. Otto ragazzini, poco più che bambini, vengono colti sul fatto all’interno della loro scuola (si tratta della media «Da Fiore» di Capo Rizzuto in provincia di Crotone) intenti a cospargere di benzina arredi, documenti, registri, con il preciso intento di affidare alle fiamme l’intero edificio scolastico. Stiamo parlando di alunni che di notte, senza alcun timore, si sono introdotti nell’edificio scolastico con taniche e bottiglie di benzina, decisi a tutto. Un disegno sventato all’ultimo momento grazie a un provvidenziale intervento dei carabinieri che hanno così evitato il peggio. Una brutta notizia che non manca di arricchirsi del solito ambiguo corollario. Ragazzi per bene con alle spalle famiglie normali; che non hanno mai dato problemi (tranne un paio di minorenni già noti alle forze dell’ordine); che sono vittime della società; che in fin dei conti hanno commesso solo una ragazzata. E invece no. Mi dispiace, ma non è così. Un simile gesto, per la gravità in sé, non può essere liquidato ricorrendo a variabili giustificative. Personalmente sono del parere che fatti di questo genere, ancorché causati da minorenni, meritano una particolare chiave di lettura. Qui siamo di fronte a una piccola banda di aspiranti incendiari, consapevoli delle conseguenze che dal lor gesto potevano derivare. Una decina di litri di benzina versati su carta e suppellettili non è come spruzzare un deodorante nell’ambiente per renderlo profumato all’olfatto di chi quell’ambiente frequenta. Lo scopo? Incendiare e distruggere. Non c’è giustificazione che tenga. Può essere un tal gesto frutto di incoscienza? Possiamo definire incoscienti ragazzini dai 12 ai 15 anni che a notte fonda (e i genitori? Dormono!) decidono di andare presso un distributore, riempire di benzina alcune taniche e diverse bottiglie, entrare nell’edificio scolastico, versare dappertutto benzina per appiccarvi il fuoco. Il motivo? Impedire per qualche giorno un regolare svolgimento delle lezioni. Un disegno studiato nei minimi dettagli con una lucidità impressionante. Può tutto questo passare per stupidità, incoscienza, immaturità? E ancora. Un gesto doloso può essere sinteticamente definito una ragazzata? O è qualcos’altro? Di sicuro posso dire che a muovere la mano di questi discoli non può essere stata la voglia di godere di qualche minuto di notorietà anche se per Andy Warhol, noto per essere stato il massimo esponente della pop art americana, «nel futuro tutti potranno avere i loro 15 minuti di notorietà». Spero che questi ragazzi non abbiano studiato la pop art americana e approfondito Andy Warhol. A quell’età più che la ricerca della notorietà si va forse in cerca dell’affermazione della personalità nel gruppo. Comportamenti gravissimi covati nell’animo pronti a distruggere quello che la scuola per alcuni ragazzi rappresenta: l’occasione per un riscatto sociale. Ma la scuola non sempre riesce in questa opportunità. E allora viene individuata come l’unica responsabile di un fallimento e per questo deve pagare. La scuola come simbolo da distruggere. Distruggere non solo ciò che essa rappresenta, ma anche ciò che agli atti viene testimoniato. Nulla deve rimanere a raccontare certi fallimenti. Può essere tutto questo una bravata? Non direi. Anche se autori del sinistro disegno sono dei ragazzini in erba, rimane tuttavia una certezza. Sono ragazzi ignorati, lasciati soli a cercare la strada dell’affermazione del proprio io, ad esperire prove, modelli e ruoli di partecipazione simili al mondo degli adulti. Quando dei ragazzini ritengono di non dover rispondere delle loro decisioni nemmeno ai genitori, allora vuol dire che il legame naturale è compromesso da interferenze non virtuose. Decidere di rimanere fuori casa fino a notte fonda e non dovere dare conto a nessuno di questa decisione, è già di per sé sinonimo di abbandono. Sentirsi abbandonati, svalutati, messi in disparte, non può che alimentare una convinzione di solitudine e di inutilità. E quando gli adolescenti si sentono soli, abbandonati, inutili, il male trova spazio nel loro cuore. E non mi si venga a dire che la colpa è della società perché la società siamo noi e allora vuol dire che la colpa è nostra. Un dato comunque è da segnalare. Per qualche giorno la stampa locale si è occupata di loro. Giornalisti, pedagogisti, psicologi, genitori, tutti a chiedersi perché. Perché questa aggressività; perché sfuggire ai controlli degli adulti; perché guadagnare l’attenzione ricorrendo a prove difficili. Ogni azione razionale degli adulti richiama reazioni ostili dei ragazzi. Ostilità e rifiuto dei primi si contrappongono all’instabilità umorale dei secondi. Anni frenetici in cui prevale la volontà di non passare inosservati, di dimostrare di non essere più “bambini”, di essere capaci di gestire, con una certa padronanza, situazioni di pericolo. Non c’è che dire. Questi ragazzini hanno lasciato il segno e per fortuna la cittadina di Capo Rizzuto non ha dovuto fare i conti con una drammatica distruzione. Eppure questi ragazzi hanno bisogno della scuola, hanno bisogno di punti di riferimento, di valori, di moralità, di comportamenti sociali corretti. Sono convinto che non vanno alla ricerca di notorietà come quel famoso Erostrato di Efeso che passò alla storia per aver incendiato il bellissimo tempio di Artemide, dea della caccia. Un vecchietto arzillo, un po’ fuso di testa, in cerca di celebrità, con un’idea fissa: passare alla storia. Fece una brutta fine. Questi nostri ragazzi, invece, sono alla ricerca di adulti che prestino loro più attenzione, che siano più disponibili. Cercano compagnia, amore. La speranza è che ci riescano. Intanto facciamo fare loro una bella esperienza. Visto che si credono così forti, che vadano ad accudire per qualche periodo anziani e disabili per avvicinarli alla solidarietà, all’altruismo, ai socialmente deboli, agli ultimi. Poi vediamo.
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