Si allargalo spread traetica e realtà

Cantieri appetitosi? “Inevitabili” (sic!) corruzioni, appalti truccati, coinvolgimento di nomi eccellenti. Nel carnet del malaffare ci sono quasi tutte le grandi opere: dalle varie tratte dell’Alta Velocità a Expo 2015, dall’Aquila del dopo terremoto alla Sanità della Lombardia, dalle Olimpiadi sotto la Mole al Mose di Venezia, dallo smaltimento rifiuti in aree del Paese alle Asl di Torino, dal “ sacco” di Roma e le Lazio ai numerosi tratti autostradali, dai Metrò di Milano e della Capitale al Terminal di Olbia, all’hub portuale di Trieste... Solo citazioni, incomplete e imperfette per dire che da Nord a Sud, corruzione e malaffare “interpretano” strutturalmente lo stato della politica, dell’imprenditoria, dell’alta burocrazia, ma anche come il cittadino realmente giudica i fatti e i reati. Il fenomeno - intendiamo la sua dimensione “fisiologica”, “patologica”, “di sistema” - ha raggiunto tale ampiezza che neppure l’Istat, che pure è la memoria centralizzata dei casi di corruzione (intesa tout court e non solo quella politica ) è in grado di fornire dati di “contenuto”. Eppure la normativa anticorruzione, certamente non perfetta, esiste. E, tuttavia, proprio negli ultimi anni, da quando è entrata in vigore (fine 2012) si sono inanellati casi di corruzione dalle proporzioni mai viste:La questione è sempre la solita: le norme da sole non servono, se poi non vengono applicata ed attuate.Oggi la corruzione sembra un fiume in piena, senza “rientri”: una parte scorre in superfice, una parte muove sottoterra. Da tempo ormai sappiamo, di essere un Paese di dubbia moralità. Pubblica e Privata. Non ci sono infatti solo gli scandali politici a pesare, ci sono anche quelli di Bancopoli, Assicuropoli, quelli tra finanza e impresa, tra impresa e impresa, con il gran contorno privatistico di imbrogli, malaffare, ruberie, clientelismi, familismi.. Non siamo i soli, siamo però primi in Europa. Corruption Perception Index 2014 di Transparency International ci ha riconosciuto lo scettro continentale e il 69esimo posto nel mondo. C’è poco da twittare allegria. Parlare di corruzione è un dovere, ma esige distinzioni. C’è moltissima gente che contribuisce sempre a un’etica civile, che aiuta a tenere insieme politica, legalità, moralità; che non alimenta zone di opacità, si fa scrupoli morali e che chiede cosa è possibile fare per arginare un fenomeno che le parole non sanno nemmeno commentare.Da due anni la legge anticorruzione (ddl 19/2013, presentato da semplice parlamentare da Pietro Grasso), benché “spolpata” in corso d’opera, è ferma (solo la prossima settimana è previsto il passaggio in Aula). Un anno fa, il nuovo governo, prometteva di cambiare il Paese partendo dalle istituzioni, dalla macchina dello Stato, dalla corruzione. Non è di sicuro rimasto con le mani in mano, ma i passi in avanti sono un’altra cosa. Se ancora non ci sono da apprezzare non è colpa del solo esecutivo, ma anche degli oltranzismi parlamentari. Divisi tra quelli che chiedevano ’”accanimento” (rinunciando all’abilità di fare politica e di collaborare sulla riforma) e coloro che proponevano un approccio più “angelicato”. Tattica anche questa sopraffina, da non escludere il sospetto di una vera “strategia segreta” tra le due componenti. Nella lunga “gravidanza” c’è però anche la responsabilità del governo, che dopo avere annunciato il lieto evento si è scordato della “fretta”. Certo, intanto ha nominato il commissario anticorruzione Raffaele Cantone e, in quanto al testo, uyna volta presentato, potrà senz’altro vantare il merito di aver ripristinato il reato di falso in bilancio Il “clima” è dunque questo. Fatte le tare alle drammatizzazioni e all’arte delle “dicerie”, che hanno la vita effimera di una pagina di giornale o quella di un atto giudiziario, c’è da domandarsi di quanti miliardi i produttori della “cultura della corruzione” hanno fatto lievitare il deficit dell’Italia? Una stima suggerisce 300 miliardi in venti anni. Un altro primato europeo.In questi giorni Politica e Istituzioni sono presentate come una slot-machine che distribuisce soldi, favori, incarichi, lavoro per figli e amici. Contro imbrogli, trame e intrighi, si è levata nei talk-show tv una intransigenza che a noi è parsa di facciata. Un prodotto anch’esso di quell’ acquiescenza, collateralismo e convenienza che assicurano la tenuta del sistema. Notava lo scrittore Italo Calvino, che in un sistema così saldato, tutte le forme di illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci, moltissime persone trovano i vantaggio pratici senza perdere la faccia (Apologia dell’onestà nel paese dei corrotti, 1980).Si invocano leggi più severe. Ben vengano, anche se alcuni magistrati si mostrano perplessi (es. Gerardo Colombo a Radio24). Gli abusi possono essere realizzati sia da chi detiene posizioni pubbliche, sia da coloro che cercano di influenzarle. La corruzione è un abuso di ruoli e risorse pubbliche per ottenere vantaggi privati. Lo ha ricordato Chicco Testa (Servizio Pubblico, 19 marzo) replicando al “moralismo” di Travaglio. C’è però dell’altro. C’è che da noi la corruzione è diventata “metodo”. Negli ultimi decenni si è fatta penetrante, avvolgente, addirittura dichiarata. Qualcuno dice che non se ne può fare a meno. Fa partecipare una schiera sempre più estesa di persone (politici, funzionari, professionisti, imprenditori, a volte persino magistrati infedeli) nella politica delle tangenti, ma se volessimo ampliare l’attenzione anche quella delle “piccole mance” non scherza. Le indagini giudiziarie impressionano, senza suscitare una vera riprovazione sociale (cosa assai diversa dalle cagnare parlamentari). Le censure han sempre un sottinteso: si condannano i vizi degli altri per coltivare in segreto i propri. Possiamo dire che la società italiana stia davvero producendo anticorpi per combattere la corruzione?

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