Se a scuola a parlare sono i muri

Ogni anno son dolori. Legambiente ha pubblicato l’annuale Rapporto - il tredicesimo - sulla qualità delle strutture e dei servizi della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado in 96 capoluoghi di provincia - prendendo in esame nel complesso 7.139 edifici scolastici di loro competenza - e di nuovo ecco una fotografia desolante per il nostro sistema scolastico. Le scuole italiane - gli edifici - sono in gran parte vecchie e con problemi di sicurezza. Tante le emergenze irrisolte, nonostante da anni si ripetano più o meno le stesse cose. La messa a norma delle strutture resta il tallone d’Achille numero uno: quasi la metà, infatti, non possiede le certificazioni di agibilità, più del 65% non ha il certificato di prevenzione incendi e il 36% degli edifici ha bisogno d’interventi di manutenzione urgenti. Bisogna poi considerare che il 32,42% delle strutture si trova in aree a rischio sismico e un 10,67% in aree ad alto rischio idrogeologico. Sulle certificazioni giova a poco consolarsi col fatto che spesso cambiano le norme in itinere, per cui una certificazione valida oggi è da rifare domani… la sostanza è che non ci siamo. Appare evidente il bisogno della scuola italiana d’investimenti e risorse, anche in tempi di “spending review”. Va bene ripensare l’organizzazione complessiva e cercare di limitare gli sprechi che si annidano in un meccanismo mastodontico, forse eccessivamente burocratico, come quello dell’istruzione, ma in questi anni la logica dei tagli sembra aver prevalso su ogni altra cosa. Va bene parlare d’innovazione e di scuola digitale - meglio andrebbe spiegarlo bene (qualche pensiero, ad esempio, andrebbe fatto sul “pasticcio” denunciato dagli editori sulla questione dei libri di testo tra versione cartacea e internet) - ma se poi i muri non stanno su e le aule sono a rischio bisogna ripensare le priorità.Ecco, questo è il panorama che pare di scorgere dalla fotografia di Legambiente, che peraltro esclude le scuole superiori, i cui edifici forse stanno ancora peggio di quelli delle elementari e medie. Intanto il malcontento e la disillusione crescono. Non aiuta nemmeno l’avvio del meccanismo del concorso, con l’assalto di 321 mila aspiranti (per 11 mila posti) e un’età media vicina ai 40 anni. I giovani insegnanti dove sono? E quando arriveranno?Sono tutti segnali che spingono verso una ricomprensione complessiva della politica scolastica e che sconta anni di contrapposizioni, di trasformazione della scuola in terreno di scontro politico. Non c’è la bacchetta magica anche se, di volta in volta, i ministri - e le maggioranze - che si sono succeduti hanno provato a farlo credere, magari con slogan ad effetto (chi si ricorda le tre I, ad esempio?). Di fatto la considerazione del mondo scolastico è sempre più scaduta e forse bisogna ripartire proprio da qui, rivalutando la scuola pubblica (quella del sistema integrato, come prevede la legge) come ambiente di educazione e di formazione. Senza travalicarne i limiti, certo, ma rispettandone caratteristiche e potenzialità, scommettendo su un’istituzione che ha la sua forza nel guardare al futuro. Forse le trasformazioni culturali degli ultimi decenni, le logiche individualistiche e la “trasformazione antropologica” - come qualche acuto osservatore ha notato da tempo - hanno a che vedere con lo scadimento dell’istituzione scuola, soprattutto nell’immaginario collettivo. Perché la scuola parla immediatamente di comunità, di stare insieme, di risorse condivise, di sviluppo sostenibile, di generazioni che cooperano. Ecco forse si può ripartire da qui. Senza dimenticare i soldi per i muri.

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