Se la prof non mi dà il voto che aspetto

Nel bene o nel male gli alunni sono i veri protagonisti degli ultimi giorni di scuola. C’è chi si reca in pellegrinaggio a Osimo, in provincia di Ancona, per affidarsi alle intenzioni di San Giuseppe da Copertino protettore degli studenti in generale e degli esaminandi in particolare. C’è chi si affida al solito Santo della propria parrocchia, ritenendo questo gesto sufficiente a muovere e commuovere colui che viene solitamente invocato alla domenica e nelle feste comandate. C’è chi si affida alla sorte convinto com’è che oramai «tutto è compiuto» e difficilmente crede nei miracolosi e salvifici ultimi giorni di lezione. Di solito sono quelli che si accontentano anche di qualche materia e vedono nel giudizio sospeso la formula magica che consente di giocarsi l’anno con un altro tentativo. C’è poi chi, invece, già pregusta Se la prof nonmi dà il votoche aspettoil successo dell’anno scolastico sicuro com’è di aver dato tanto allo studio e tanto si aspetta di ricevere come riconoscimento dell’impegno profuso. Certo nessuno vorrebbe leggere a fianco del proprio nome e cognome l’imbarazzante «non ammesso» che non lascia alcuna speranza di interpretazione. L’insuccesso scolastico viene suggellato come una naturale conseguenza di un compromettente disimpegno durato nel tempo. In questo caso le reazioni sono contrastanti. C’è chi ne comprende il valore etico e mediante un semplice, ma necessario, esame di coscienza, rientra nella convinzione che la stima degli insegnanti si conquista non soltanto con il merito, che pure ha una sua fondamentale importanza, ma anche e soprattutto con la serietà, la consapevolezza che lo studio è un cammino necessario fatto di scelte, di impegni, di rinunce e di sacrifici. Concetti che se non condivisi scatenano sentimenti di ingiustizie subite, rivalse per torti sopportati fino ad arrivare a ripicche e ritorsioni che spaziano da confronti duri e volgari a iniziative legali contro i docenti considerati gli unici responsabili delle nefaste e inaccettabili decisioni. E’ l’inizio della fine. La fine di un rapporto educativo tra genitori e insegnanti basato su una differente visione etica circa il significato di educazione. L’insuccesso scolastico viene ritenuto, a torto, alla pari di una pesante sconfitta da non subire passivamente, ma, come un’onta ricevuta, va lavata con durezza per dimostrare al prossimo e ai distratti giudici scolastici il valore del più forte. L’inferno emotivo, alimentato dal caldo meteorologico che in questa stagione non manca mai, si apre a nuove ipotesi che in modo forzoso, perché volute e cercate, combaciano con le proprie ragioni. Anzi. Dirò di più. Sono le personali convinzioni che finiscono spesso col dare razionalità anche a ciò che razionale non è, anche a ciò che contrasta con la buona ragione, col buon senso se non addirittura con l’evidenza dei fatti. In tal caso il gioco delle parti prende un’unica direzione, si scatena e va oltre l’inverosimile, i rapporti sfuggono ad ogni regola, gli insegnanti vengono visti come una controparte fautori di errori di valutazione e in quanto tale da trascinare sul banco degli imputati. Il costo che si paga in termini educativi e sociali è notevole. Il valore di un’etica comune cambia da persona a persona tanto che ognuno è giudice di se stesso. Come una stessa aranciata può apparire dolce a una persona sana, ma amara a una malata, così una bocciatura può apparire giusta agli insegnanti, ingiusta ai genitori. E’ il trionfo della cultura del relativo tant’è che siamo noi stessi a stabilire la differenza di ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, di ciò che è un bene da ciò che è un male. E questo è un grosso problema. Di diverso tenore è lo stato d’animo di chi prende coscienza della necessità di fermarsi a rivedere alcune cose. Per gli insegnanti è quello che per gli antichi filosofi ateniesi è l’epokè ovvero la «sospensione del giudizio». L’anno non è perso, ma lo studente viene chiamato a gestire un tempo supplementare, tanto per rimanere in campo sportivo sempre caro ai ragazzi. In tal caso l’estate richiede oculatezza nel dividere il tempo tra riposo, che non può e non deve mancare, e impegno nello studio per dare ai docenti la possibilità di sciogliere ogni sorta di dubbio. Allo studente viene offerta un’ulteriore chance per dimostrare le proprie abilità non del tutto emerse durante l’anno e sciogliere così ogni dubbio che possa condizionare lo stato d’animo di qualche insegnante. Viene chiesto un supplemento di impegno perché non ha convinto, perché non ha raggiunto i risultati sperati o semplicemente perché è bene che approfondisca determinati contenuti per meglio affrontare l’anno successivo. Può succedere però che qualcuno non comprenda appieno questa scelta operata dagli insegnanti e allora alla verifica concordata accade l’irreparabile. In questi casi si getta via un’opportunità, si consuma un inganno determinato da una falsa apparenza ovvero quella di condurre l’insegnante verso un errore di valutazione per affidare all’indulgenza valutativa la chiave di accesso al passaggio di classe. Ma il più delle volte il piano non funziona e la sorte, sia pur benigna, abbandona lo studente al proprio destino. Raggiante in viso è lo studente impegnato che molto spesso è lo stesso che emerge nel sociale o nel politico. Per una certa tradizione semantica studentesca è il cosiddetto «secchione» che davanti agli esiti positivi vive per qualche giorno la gioia emotiva del Paradiso dantesco. Attorno a lui si muove un mondo raggiante per i risultati raggiunti, per la promozione sul campo ottenuta a suon di risultati convincenti. Tutti si congratulano, tutti fan festa, tutti riconoscono in lui l’espressione dello studente modello. Impegno, sacrificio, partecipazione, responsabilità non fanno che da cornice al merito mostrato, vissuto e riconosciuto. Riconosciuto dai docenti, dai genitori, dalla comunità famigliare, dagli amici, tant’è che, parafrasando Dante, «tutti lo miran, tutti onor gli fanno». E’ giusto che sia così. Se è vero che bisogna occuparsi, sempre e in maniera instancabile sul piano del recupero, dei ragazzi bisognosi di aiuto, è altrettanto vero che non è possibile dimenticarsi dei ragazzi che raggiungono ottimi risultati, che rappresentano l’orgoglio dei genitori e della scuola. La scuola superiore accoglie i ragazzi poco più che adolescenti per consegnarli alla famiglia e alla società già adulti e maggiorenni, pronti ad assumersi le proprie responsabilità.

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