Quando frequentavo la scuola media e siamo agli inizi degli anni sessanta, avevo un amico di nome Ignazio, anche lui figlio di contadini come me e anche lui, come me, aveva i nonni che per il lavoro nei campi, potevano contare su un carro trainato da un cavallo. I trattori erano ancora di là da venire. Il mio nonno aveva una cavalla di nome Giustina, molto curata e ben “governata” perché svolgeva il suo compito in maniera affidabile tanto da meritare la miglior biada in quantità industriale. Il nonno era contento. Alla sera gli animali venivano ristorati e messi a riposo in un locale attiguo alla casa di abitazione. Nel caso del nonno di Ignazio il cavallo per andare nella stalla, doveva attraversare tutta la casa. In sostanza il cavallo del nonno di Ignazio si rifocillava e dormiva in casa, in una stanza separata da una classeporta, assieme ai padroni. I tempi sono cambiati e i contadini oggi più che sui fedeli animali da soma, si affidano ai cavalli dei trattori. Non così per il mio collega, Massimo Di Paolo, preside del Liceo Scientifico “Fermi” di Sulmona che pare abbia trapassato ogni limite dell’immaginazione. Lui si preoccupa di curare e rifocillare i cavalli della sua potente moto, una Bmw Gs 1200, assicurandosi che non si bagni. A preoccupare il mio esimio collega è un’eventuale raffreddore che, in una giornata di pioggia, può colpire la sua moto non vaccinata contro l’influenza. E allora cosa fa? Parcheggia la moto in classe. Non solo. La lascia lì per tutta la giornata, in bella vista, alla portata degli smartphone dei suoi studenti che non si lasciano scappare l’occasione per immortalarla su facebook. Ora capisco i contadini di sessant’anni fa che per assicurarsi la buona salute dei propri cavalli, considerati un patrimonio famigliare, se li portavano in casa. Ma che adesso qualcuno si curi della moto in maniera maniacale fino a proteggerla dalle intemperie, utilizzando una classe come riparo, questo è il colmo. Posso avere comprensione per il mio collega che mangia il panino con la mortadella nel corridoio incurante dei suoi studenti (la fame quando arriva, arriva); reputo furbetto il comportamento di una collega che parcheggia giornalmente la macchina sullo spazio riservato ai portatori di handicap senza averne il regolare permesso (ragioni di servizio, dice lei); rimango perplesso davanti a quel tal collega che irato pesta volontariamente un piede a un suo docente fino a mandarlo al pronto soccorso (quando un preside si arrabbia è bene allontanarsi dalla zona circostante), ma che adesso qualcuno dell’allegra brigata dirigenziale si porti la propria Bmw Gs 1200 in classe per evitare di lasciarla sotto la pioggia o di non trovarla più all’uscita da scuola, questo mi sembra un tantino esagerato. Molti miei colleghi dovrebbero leggere la vita di Socrate e trovare nei suoi gesti e nelle sue parole uno stile di morigeratezza e di buon senso. Il nostro filosofo in quanto a sostenere sacrifici era imbattibile. Si narra che in pieno inverno, col freddo pungente, diversamente dal mio collega, che per fare cinquecento metri (la distanza casa-scuola) si serve della moto, andava in giro per Atene a incontrare i suoi allievi a piedi (non aveva la moto). Nel nostro caso evidentemente il mio collega è del parere che una moto bagnata possa non rispondere più ai comandi e allora è meglio proteggerla in un ambiente caldo, sicuro e accogliente tra banchi e sedie, come uno dei tanti studenti. Ora mi chiedo. E se alcuni dei suoi studenti volessero fare la stessa cosa? E se volessero anche loro proteggere dalla pioggia o dai tentativi di furto le proprie moto portandole in classe per appoggiarle ai banchi come si fa con le cartelle? Non mi sembra una buona idea. Siamo alle solite. L’esempio che un adulto è tenuto a dare vale molto di più delle chiacchiere che lo stesso adulto è talvolta portato a proferire. Questo mio collega per fare quello che la cronaca ci racconta abbia fatto, non può avere nessuna giustificazione. Il suo è un comportamento assolutamente censurabile dal punto di vista etico. Certo non ha fatto nulla di male. Non ha creato disservizio al regolare svolgimento delle lezioni, non ha spostato la scolaresca in un’altra classe per far spazio alla sua moto, non ha impedito agli insegnanti di utilizzare l’aula per attività di laboratorio. Niente di tutto questo, ma per me ha fatto di peggio. Ha ridicolizzato la sua autorevolezza in quanto capo d’istituto. Ha giustificato con convinzione il suo comportamento durante un’intervista rilasciata ad una radio privata. Ha dato di sé, ai suoi studenti, l’immagine di un preside che si preoccupa più della sua Bmw Gs 1200 che non delle conseguenze che da quella decisione potrebbero scaturire. E’ una caduta di stile soprattutto nei rapporti con i ragazzi che difficilmente può trovare una ragionevole giustificazione come quella addotta dal mio collega. Che una moto venga messa al sicuro in un’aula per evitare un furto o peggio ancora per evitare che si bagni, rimane un tentativo di dare importanza a qualcosa di materiale che così viene a contare più della stessa dimensione educativa; a qualcosa che si materializza in una frammentazione del rapporto che viene diviso tra una moto da tutelare e i ragazzi da educare. Che messaggio può aver trasmesso con la sua azione? E poi parliamo di educatori! Potranno mai dire un domani i suoi studenti «ciao preside sei stato per noi un buon esempio di vita»? Purtroppo molto spesso dimentichiamo che i ragazzi sono lo specchio dei nostri buoni o cattivi esempi. E allora come condannare quel ragazzo che entra in classe con il motorino ora accelerando, ora rallentando, ora sgommando tra l’applauso dei compagni divertiti? I comportamenti degli adulti sono facili da capire e da emulare, ancor più sono quelli di docenti e presidi. I presidi poi sono sempre sotto la continua attenzione dei ragazzi per le decisioni che prendono, per quello che dicono, per le azioni che compiono. E allora che i presidi stiano nelle scuole ad educare e le moto nei box a “riposare”.
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