Se in oratorio ti arrivano i soliti bulli

Una notizia dei giorni scorsi provoca a riflettere sul tema del rapporto educativo tra adulti ed adolescenti. I giornali hanno riferito del caso di Barbaiana, una frazione di Lainate, in provincia di Milano, dove il giovane sacerdote che guida l’oratorio ha preso una posizione piuttosto dura nei confronti di un gruppetto di “bulli”, una quarantina: li ha allontanati, vietando loro di entrare in oratorio perché non ne rispettano le regole e hanno comportamenti prepotenti e violenti. “Devo proteggere gli altri, i più deboli”: così ha spiegato il sacerdote, lasciando intendere che la presenza del gruppetto dei bulli metteva a repentaglio gli altri frequentatori dell’oratorio, circa 200 persone. E ancora: “Non riusciamo a educare tutti”.

È inevitabile che una posizione come quella scelta dal prete di Barbaiana faccia discutere. Anche perché c’è subito chi fa notare come sia dissonante accostare a una struttura come l’oratorio e la parrocchia, il termine “esclusione”. Ma come? Non dovrebbe proprio l’oratorio accogliere tutti? E magari proprio i ragazzi più difficili? Sono domande rimbalzate immediatamente anche dentro gli articoli di cronaca dedicati alla vicenda del piccolo paese. In realtà la questione non è proprio scontata. E la posizione del giovane sacerdote spinge a riflettere.

La situazione di Barbaiana non è rara. Spesso succede che gruppi di adolescenti si mostrino quasi impossibili da trattare, duri, provocatori, a volte violenti. Chi ha a che fare con il mondo degli oratori sa bene quante volte si presentano situazioni difficili e quante volte non sia accademica la questione del “che fare”? Lo sperimenta il mondo della scuola e prima ancora, se ne avvedono i papà e le mamme alle prese con i figli che crescono a che, ad un certo momento, sembrano chiudere occhi e orecchie, indurire la faccia. Che fare?

Non c’è una ricetta, così come non si possono eliminare la possibilità e il rischio di sbagliare. Una condizione da rispettare sempre è però quella di guardare in faccia i protagonisti, di prendere sul serio le persone coinvolte. E così, per un educatore, il primo passo da fare è quello di ascoltare e raccogliere le esigenze dei propri interlocutori, interpretare le situazioni e agire con responsabilità. Quante volte le porte chiuse sono, in realtà, una richiesta d’aiuto. E quante volte gli adolescenti chiedono sempre di più perché, in fondo, avvertono che nessuno li sta a sentire. Prima del compito difficile di mediare tra i no e l’accondiscendenza, c’è l’urgenza di combattere e superare l’indifferenza. È questa la prima, vera nemica. Degli adulti, come dei più giovani, dei loro, dei nostri figli.

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