C’è una scuola ideale e una scuola reale da cui siamo spesso attratti per cercare di dare una spiegazione ai tanti avvenimenti belli o brutti che hanno come esempio dei buoni o dei cattivi maestri. La scuola ideale è fatta di ragazzi educati, rispettosi dell’ambiente in cui trascorrono gran parte della giornata, rispettosi degli insegnanti che riconoscono come maestri di vita, portatori di ideali e di valori etici, rispettosi delle regole che disciplinano una comunità piccola o grande che sia. E’ la scuola fatta di insegnanti che sanno trasmettere valori, che riescono a capire e a farsi capire, che riescono a trasmettere contenuti, conoscenze e competenze, che prestano attenzione agli studenti che sanno e a quelli che sanno fare ciò che sanno. E’ la scuola che si preoccupa di recuperare il fare e il saper fare, che sa selezionare i saperiper organizzarli in apprendimenti significativi; è la scuola che sa fare scelte coraggiose, che sa proporre scelte di vita, che offre un cammino educativo condiviso. Per dirla in parole povere: è la scuola che prepara alla vita. Ma bastano certi episodi per farmi mettere i piedi per terra e per ricordarmi che la scuola ideale potrebbe essere un’utopia perchè, checché se ne dica, i conti vanno fatti con la scuola reale che è tutt’altra cosa. E’ la scuola dove l’opera educativa viene quasi sempre contestata dai genitori perchè ritenuta in contrasto con i valori affettivi; è la scuola schernita, beffata e tradita. Quando da ragazzo tornavo a casa con una nota sul diario da far firmare ai miei genitori, sapevo già cosa mi aspettava. Il meglio che mi potesse capitare era un ceffone condito con un fischio alle orecchie, mollato con mani legnose proprie di un contadino, a sottolineare l’importanza dell’opera educativa messa in atto dal professore. E non finiva col ceffone. Era immediata la richiesta di colloquio con l’insegnante a cui si portavano le scuse per il cattivo comportamento da me tenuto in classe e dove si invitava il professore a segnalare qualsiasi mancanza di rispetto perchè quello era il valore massimo su cui si fondava la tradizione di famiglia. In quegli anni il telefonino non era stato ancora inventato, non c’era l’iPad, né whatsapp, mentre internet e social network erano ancora di là da venire. La miglior risorsa comunicativa per noi era la nostra lingua e tutto quello che «goliardicamente» usciva dalla bocca. Oggi dalla bocca dei ragazzi esce di tutto, dalle oscenità alle volgarità, dall’inno all’escremento principe al dizionario completo degli organi genitali. Peggio avviene con i nuovi sistemi di comunicazione come whatsapp. E sono proprio questi che talvolta rendono la vita difficile agli insegnanti. Quello che è accaduto qualche giorno fa alla scuola media San Francesco al Campo di Torino, ha dell’incredibile. Giornali e televisione si sono occupati dell’accaduto, eppure sono convinto che non cambierà nulla, perchè grande è la falla educativa che si è aperta e che separa in modo netto le due più importanti agenzie educative: la scuola e la famiglia. In breve. In questa scuola 22 alunni, tutti minorenni, sono stati sospesi dalla mia collega perchè responsabili di aver ripreso con i cellulari vari momenti delle attività didattiche, inserendo le immagini in internet sui social network, accompagnandole con commenti ironici e burleschi rivolti agli insegnanti. Non c’è che dire: un bel lavoro! Ma l’iniziativa, una volta venuta a galla, non è piaciuta ai docenti che hanno informato la preside, che a sua volta ha provveduto a verificare i fatti, facendosi consegnare dai ragazzi i cellulari fino alla decisione finale della sospensione dalle lezioni. Tutto regolare? Macché. Alcuni genitori hanno protestato fino a minacciare di denuncia preside e docenti per violazione della privacy. Cari lettori avete capito bene! Alcuni prof. sono stati prima ridicolizzati, umiliati, canzonati e poi minacciati di denuncia. A Napoli in simili casi amano dire: «Cornuti e mazziati» che per l’Accademia della Crusca vuol dire «ricchi e felici». «Cornuto», infatti, era la moneta d’argento che circolava in Piemonte nel 1400. A dire di questi genitori nessuno a scuola ha il diritto di togliere il cellulare a un alunno per accertamenti di fatti contestati. Quindi per questi genitori ciò che più è importante nel consesso sociale di oggi, non è mettere in ridicolo la dignità di un insegnante o mettere alla berlina un’istituzione educativa come la scuola, per questi genitori è più importante tutelare il rapporto affettivo che si ha con un figlio per difenderlo dagli insegnanti impiccioni e scansafatiche, ignoranti e frustrati, scandalosi e incapaci, psicologicamente tarati e professionalmente incompetenti. Ecco questa è per tanti genitori la scuola reale. La scuola accusata di non capire più i propri alunni, che non riesce più a dialogare con i genitori, che non sa più condividere con loro i valori, che non sa educare, insegnare, formare. Per tanti genitori questa è la scuola dove i prof sanno solo bocciare, punire, sequestrare i cellulari, creare difficoltà, impedire i recuperi e chi più ne ha, più ne metta. Questa è purtroppo l’immagine che parecchi genitori hanno della scuola oggi. Questi sono i genitori che non sanno più distinguere la differenza tra un rapporto affettivo da uno educativo, che si indignano quando un insegnante pretende il rispetto delle regole, che si schierano sempre e comunque dalla parte dei figli, che vedono la scuola più come area di parcheggio che come un’occasione di crescita e di maturità della persona e gli insegnanti più come babysitter che come dei professori che si spendono per la crescita culturale e civica dei ragazzi loro affidati. E allora una soluzione potrebbe essere quella di avviare corsi di recupero anche per i genitori e insegnar loro a non lasciarsi trascinare dall’emotività del momento, a essere consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, a non lasciarsi sopraffare dagli impulsi. In ultima analisi a vivere un corretto rapporto con i figli, con la scuola e con gli insegnanti, perchè forse, come scrive Dante nel Purgatorio, solo così «fieti manifesto l’error de’ ciechi che si fanno duci» ovvero che solo così «ti sarà chiaro l’errore dei ciechi che pretendono di fare da guida».
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