Scuola, si continua a fuggire

Si è appena chiuso un altro anno scolastico che già si può tentare di fare un primo bilancio per comprendere la portata di qualche problema che immancabilmente si ripresenta. C’è, ad esempio, tanta preoccupazione per i dati resi noti in questi giorni dal rapporto Istat sulla nostra situazione scolastica e relativi all’abbandono scolastico da parte di giovani che non arrivano al diploma o si accontentano della licenza media. A tal proposito un recente articolo di Ernesto Galli della Loggia ha *preside dell’Istituto “Agostino Bassi” di Lodi all’anno scolastico precedente, ma la cifra che viene fuori offre uno spaccato del fenomeno abbandoni davvero da terzo mondo. Si parla di un 19 per cento circa di ragazzi che non completano gli studi e che si accontentano della terza media. Una percentuale che supera abbondantemente il dato europeo che si è attestato al 14 per cento. Emerge, altresì, quello che sembra essere un dato scontato e cioè che a determinare l’aumento della percentuale nazionale degli abbandoni sono soprattutto le regioni del sud (Puglia, Sicilia e Campania in testa). A preoccupare gli studiosi del fenomeno abbandoni ci sono indicazioni di natura sociale. Che fine fanno, per esempio, tutti questi giovani senza un diploma delle superiori? E ancora. Perché la scuola continua a sfornare una gran massa di mediocrità? Di chi la colpa? Naturalmente la prima obiezione è che la gran parte delle responsabilità ricade sulla scuola. Una scuola che non sa più essere all’altezza del suo compito; che non riesce a entusiasmare i propri allievi; che fa tanto per livellare al ribasso e poco o nulla per alzarsi verso «i capaci e meritevoli». Del resto come si può trasmettere entusiasmo agli allievi se a non entusiasmarsi più sono proprio i docenti? Mal retribuita, frastornata dai numerosi problemi e scarsamente considerata, la classe docente non riesce più a trovare un equilibrio tra le dinamiche di una classe, il merito, la severità e l’incoraggiamento. Fatto è che a fuggire dalla scuola non sono solo gli allievi che abbandonano, andando ad ingrossare le fila di scontenti e arrabbiati, ma ci sono anche docenti e presidi che ultimamente hanno preferito abbandonare anticipatamente il servizio rispetto ai limiti d’età, mentre quelli che rimangono continuano a vivere la propria professione tra forti disagi e tanta amarezza per la scarsa considerazione sociale in cui è scivolata la scuola. Tra i docenti prevale, talvolta, uno status sociale avvilente sottolineato da un confronto demoralizzante con i propri allievi ricoperti da abiti griffati, con ai piedi scarpe firmate e in tasca l’ultimo trovato tecnologico. Allievi pronti a raccontare i viaggi natalizi nei paesi esotici o le giornate canicolari trascorse tra un gelato a Cortina e una partita a golf sui prati di Madonna di Campiglio. Tra i presidi, invece, prevale l’amarezza per i forti cambiamenti sopraggiunti nell’esercizio delle proprie funzioni. Una professione oggi più che mai esposta alle tante e diverse responsabilità senza che una qualche norma conceda loro un ombrello di garanzia. Molti vivono anche con sofferenza le scelte dell’esecutivo orientate più da una logica di risparmio che non da una logica di qualità. Quando una scuola non è più in grado di aiutare i ragazzi a crescere, allora vuol dire che non è nemmeno in grado di insegnare loro a scegliere il proprio futuro. Ci sono poi quelli che fuggono dalla scuola tradizionale per rifugiarsi in quelle meglio conosciute come scuole dalle «pedagogie alternative». Una convinzione dettata dal sentire, con un certo timore, la mancanza di una seria preparazione nelle scuole di stato. Una paura il più delle volte ingiustificata. Ma tant’è che le iscrizioni in queste scuole cosiddette «diverse», aumentano di anno in anno. E qui il fronte è vasto. Potrei ricordare le «Home School» meglio conosciute come «Scuole fatte in casa» o «Scuole condominiali», ma anche «Scuole di quartiere», sorte un po’ ovunque, soprattutto al nord, organizzate in modo autonomo, con programmi di studio autonomi, ma con un esame finale di verifica da sostenere presso una scuola di stato. Poi ci sono gli asili emiliani fondati sul metodo del «Reggio approach» di Loris Malaguzzi, il fondatore, con un’ampia visione del pianeta bambino. Di un certo livello sono le «Scuole Steineriane» che seguono gli insegnamenti di Rudolf Steiner, pedagogista austriaco conosciuto anche per il famoso incipit «un buon maestro genera buoni alunni, un cattivo maestro genera cattivi alunni». Di un certo interesse sono le scelte fatte da molti genitori nell’indirizzare i propri figli verso le scuole del «metodo Montessori» ispirate alla sua fondatrice Maria Montessori. Sono scuole sparse in tutta Europa il cui fondamento è da ricercare prevalentemente nel metodo scientifico. Un po’ sui generis sono le «Scuole Libertarie» (conosciuta è la scuola «Kiskanu» di Verona) dove tutto viene concordato di volta in volta dai docenti in accordo con gli allievi e dove non c’è obbligo di frequenza. Sembra quasi di essere di fronte a una fuga calcolata, le cui giustificazioni sono forse da ricercare in una visione negativa della scuola di stato che ha perso il proprio carisma, che fa fatica a educare, che soffre a causa dei tagli imposti da specifiche scelte politiche. Una selva di proposte pedagogiche alternative tali da rendere il panorama scolastico piuttosto complicato. Un po’ troppe? Può darsi. Sicuramente andava meglio ai tempi dell’antica Grecia quando ad Atene c’erano soprattutto due scuole di pensiero: il metodo Protagora, uno che dava lezione solo dietro lauti compensi, che non dava confidenze a nessuno, che guardava tutti dall’alto in basso, noi oggi diremmo uno con la puzza sotto il naso, ma tremendamente vagheggiato dai giovani ateniesi desiderosi più di imparare a far soldi, amicizie e carriera, che a desiderare la conoscenza fine a se stessa (il mondo è sempre lo stesso!). Esattamente il contrario del metodo Epicuro, quello della scuola del Giardino, quello dalle lezioni gratuite, quello che familiarizzava con tutti, schiavi e prostitute compresi, quello del «vivi nascostamente». Altro che palestrati e carrieristi di Protagora!

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