Scuola distrutta:così giovani,così violenti

Sono iniziati i lavori di ristrutturazione e recupero degli ambienti scolastici del Liceo Classico “Socrate” di Roma distrutti dal fuoco appiccato da quattro studenti che hanno pensato così di vendicare la bocciatura. Si parla di settecento mila euro di danni tra strutture e infrastrutture. La cronaca ha dedicato ultimamente molte pagine non solo ai dettagli del disastro, ma anche alle ragioni per cui quattro ragazzi, tra cui due minorenni, decidono di svaccare la notte sulla spiaggia di Torvaianica, e fin qui niente di male, ognuno è libero di sdraiarsi sulla sabbia che più risponde all’anatomia del proprio corpo, per poi dedicarsi ad atti di vandalismo, mirando all’obiettivo formativo per eccellenza: la propria scuola. Ragazzi che non hanno accettato la bocciatura, che hanno preferito rispondere al giudizio dei loro docenti con la violenza distruttiva, che hanno così vendicato l’onta, a parer loro, ingiustamente subita. Un gesto che ha lasciato esterrefatti non solo il preside, docenti e studenti, ma anche genitori e l’intera comunità civile. Ora sono cominciati i dibattiti educativi colmi di tanti perché senza risposta, senza una ragione in grado di dare una sia pur piccola plausibile spiegazione a un comportamento vendicativo che non ha pari in ambito scolastico. Sappiamo di genitori «incacchiati» che non accettano le valutazioni degli insegnanti; di studenti che ricorrono a Facebook per insultare e offendere docenti; di docenti resi ridicoli da una cultura socialmente dominante che non sa o non vuole allontanarsi da quel particolare stereotipo negativo che ha contribuito ad elevare il cliché dell’insegnante medio. Un insegnante lazzarone, incapace di rendere interessante una lezione, talvolta incompetente reso tale da un habitus mentale conforme al tipo di società di oggi che vive e si alimenta sulla stessa svalutazione sociale di cui è oggetto un insegnante. Questo però porta a dimenticare il lavoro, il prestigio, la professionalità dei tantissimi insegnanti che riescono, al contrario, a formare intere generazioni, a dimostrare sul campo un lodevole grado di professionalità, contribuendo, di fatto, a investire fortemente in valori educativi e cognitivi. Ma tutto questo non fa storia perché non rientra nella logica di valorizzazione del capitale umano. Dirò di più. Sin dai primi commenti all’inaudito atto vendicativo e distruttivo messo in opera dai quattro ragazzi indicati come «fancazzisti» dell’era contemporanea, è emersa la responsabilità della scuola che non ha saputo comprendere, capire e offrire valide alternative al manifesto disagio che ha finito col condizionare negativamente il rendimento scolastico. E’ come dire che la colpa è della scuola. Qui entriamo in un campo minato. E allora mi viene spontanea una domanda. Il comportamento scellerato messo in atto dai quattro studenti è la conseguenza di una cattiva educazione famigliare o di una negata “deregulation” valutativa ad opera degli insegnanti che potevano così evitare la bocciatura? Non è una questione di poco conto se si pensa che in mezzo ci sono quattro ragazzi ora pentiti, quattro famiglie distrutte, 700 mila euro di danni all’istituto con tutte le conseguenze civili e penali che saranno oggetto di giudizio. Cerchiamo di entrare nel merito della questione. Il fatto che i quattro giovani si siano presentati spontaneamente alle autorità investigative, che si siano dichiarati colpevoli dei reati loro ascritti, che si siano dichiarati fortemente pentiti per quello che hanno commesso, riesce a mitigare il giudizio degli adulti. A loro favore cominciano a fioccare autorevoli valutazioni. Si parla di «scuola disattenta» che doveva meglio leggere il disagio interiore, di punizioni civili e non penali a motivo del quale si è programmato un loro coinvolgimento lavorativo nelle attività di ristrutturazione delle aule e dei laboratori danneggiati, di comprensione educativa commisurata alla loro giovane età che li vede per la prima volta alle prese con certe «prodezze» e con le carte giudiziarie. Siamo al solito perdonismo portato all’ennesima potenza. Del drammatico risentimento vendicativo causa prima del gravissimo e distruttivo comportamento messo in atto in modo consapevole, si rischia di perderne traccia. Eppure di questo si tratta. Forse la scuola ha le sue reonsabilità, ma quelle delle famiglie che non hanno saputo educare ad accettare gli insuccessi e cosa ancor più grande. La scuola ha il suo sistema valutativo a motivo del quale se studi hai un voto soddisfacente, se non studi non viene concesso nessun riconoscimento positivo. E’ come dire che in sintesi tutto è racchiuso nel rapporto sforzo-risultato. Sudi seriamente, raccogli risultati; studi superficialmente o non studi, raccogli amarezze. Ma in questo dualismo concettuale, si inserisce talvolta una variabile sociale che finisce spesso col condizionare i docenti nella valutazione finale. E se da una parte il sistema di valutazione basato sui voti non lascia scampo, dall’altra la variabile sociale consente agli “sfaticati” di mimetizzarsi bene fino a convincersi che alla fine qualcosa potrà succedere. Su quel “qualcosa” assimilabile a un eccesso di comprensione da parte degli insegnanti, si costruiscono false aspettative come quelle legate alla convinzione di riuscire a cavarsela. Ma la storia spesso va in altra direzione e allora succede che la delusione, se non ben guidata rischia di far esplodere il risentimento che si tramuta in violenza. Ed è quello che è capitato a questi ragazzi. Non sono stati educati abbastanza a capire la differenza tra referenzialità e autoreferenzialità. A mio avviso la nostra scuola è affetta da un male incurabile ascrivibile a una preoccupate cultura sociale poco incline a considerarla nella sua autentica accezione formativa ed educativa. Se non si inverte la rotta, la scuola rischia di essere sconfitta al suo interno in modo parassitario da docenti poco motivati e all’esterno in modo aggressivo da famiglie poco avvezze a collaborare perché ingabbiate nella pseudo convinzione che la scuola non ha più il primato che le spetta di diritto, ma è un’agenzia come tante e perciò stesso attaccabile senza attenuanti. Occorre puntare a un reale rinnovamento culturale. Ma quanti sono disposti a farlo?

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