Scuola al sud, un problema da risolvere

«L’Italia s’è fatta, ora bisogna fare gli italiani». Una frase storica attribuita al nobile Massimo D’Azeglio uno dei politici di spicco del Risorgimento che tanto ha dato per l’unità d’Italia. Un disegno politico che ha visto accomunati uomini dai grandi ideali come Cavour e Mazzini, politici di fede diversa, o musicisti come Verdi, ma anche poeti come Luigi Mercantini, assai noto per la poesia «La spigolatrice di Sapri», o scrittori come Manzoni e per un altro verso Verga tanto per citarne alcuni. Si voleva cambiare per sempre un Paese che si presentava ancora a macchia di leopardo immortalato dal “divino” Dante nel Purgatorio: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello». Il problema più grosso? Il meridione. Un sud disastrato, arretrato, dove povertà e miseria inducevano le famiglie a considerare i figli comunque una benedizione e in età scolare più una ricchezza in quanto forza lavoro che non un’opportunità in quanto a riscatto sociale. Siamo alla presa in carico da parte dello Stato unitario dei grandi problemi tra cui l’istruzione. Una prima sottolineatura merita l’inchiesta sullo stato della scuola ad opera di una commissione formata da Matteucci, Maria Bertini e Rayneri. La scuola è descritta come una «grande malata» (siamo nel 1864) con l’istruzione che appariva come «più progredita nell’Italia settentrionale, mentre versava in condizioni di maggiore arretratezza nell’Italia centrale, nella Sicilia e soprattutto nel mezzogiorno» (da “Storia della scuola” di Saverio Santamaita). Passa poco più di un decennio (siamo nel 1877) quando un’altra famosa indagine sullo stato di salute della nostra scuola si impone all’attenzione dell’opinione pubblica di allora. Due parlamentari, Sidnay Sonnino e Leopoldo Franchetti, si rendono autori di una particolare inchiesta, una specie di dossier televisivo del giorno d’oggi, con al centro la situazione del meridione in generale e della Sicilia in particolare. Un lavoro reso celebre dalla capacità dei due autori di mettere in luce un meridione sconosciuto alla classe perbenista del nord che rimase scandalizzata dalla conoscenza di certe situazioni sociali e soprattutto dalla condizione dei minori ridotti a mezzi e strumenti per aiutare la famiglia che pensava più a come tirare a campare che a mandare i figli a scuola. Al primo posto c’era la Campania seguita a ruota dalla Calabria, dalla Basilicata, dalla Sicilia, dalla Puglia. Intanto gli anni passano e da allora ad oggi passa più di un secolo. Uno spera che col tempo le cose migliorino. Macché. L’ultimo rapporto Invalsi, l’Istituto che si occupa della valutazione delle scuole per conto del Ministero, presentato alla stampa in questo mese, ha messo in luce un divario tra scuole del nord e scuole del sud davvero preoccupante. Il rendimento scolastico degli alunni divisi tra nord e sud presenta un serio gap soprattutto alle superiori. E’ come dire che per certe situazioni il tempo si è fermato. Anche oggi, e siamo nel 2012, i risultati delle prove Invalsi pongono agli ultimi posti, per quanto attiene ai livelli di apprendimento degli alunni, sia pure in due sole materie (Italiano e Matematica), le stesse regioni che poco più di 130 anni fa le varie inchieste parlamentari individuavano come zone scolasticamente problematiche. All’ultimo posto troviamo la Campania seguita dalla Calabria, dalla Sicilia, dalla Sardegna, mentre pare essere migliorata la situazione in regioni come Puglia, Basilicata e Abruzzo. I dati raccolti sono impressionanti e scientificamente attendibili. Quasi tre milioni gli studenti coinvolti dalle elementari alle superiori. In queste regioni oggi come allora gli esperti devono fare i conti con un tasso di dispersione molto elevato e con situazioni di degrado sociale che minano la stessa motivazione allo studio. Tantissimi ragazzi delle scuole del meridione più che prestare attenzione alle lezioni prestano attenzione a come sbarcare il lunario, disinteressandosi completamente dell’istruzione come occasione per migliorare la qualità della vita. Il lavoro e il più preoccupante fenomeno del bighellonaggio vengono preferiti allo studio e purtroppo talvolta con il consenso dei genitori. Questo è il vero problema. Oggi con le rilevazioni dell’Invalsi sul livello di apprendimento scolastico, allora con le inchieste parlamentari ci troviamo di fronte a descrizioni di situazioni di degrado sociale e famigliare di certe sacche del sud che giustificano, per un verso, gli esiti deludenti dei risultati scolastici monitorati in alcune materie, e per l’altro verso conducono persino a giustificare certe scelte desiderate e sostenute dalle stesse famiglie. E se allora erano scrittori come il Verga a farci conoscere certe specifiche realtà (basta leggere la novella di «Rosso Malpelo»), oggi sono i vari servizi speciali che ci fanno conoscere realtà scolastiche veramente dure da accettare, dove docenti e presidi da professionisti di cultura e formazione, si trasformano in agenti sociali preoccupati più di raccogliere dalle strade i ragazzi in obbligo scolastico che di preparare contenuti da proporre durante le lezioni. Il miglior rapporto con il degrado sociale viene ad essere, dai ragazzi, preferito al peggior rapporto con la scuola. Anche oggi come allora si viene a sapere che sono i genitori per primi ad essere spesso denunciati poiché accusati di impedire ai propri figli in età di obbligo scolastico di frequentare la scuola; anche oggi come allora sono certe zone degradate del sud ad essere spesso oggetto di interrogazioni parlamentari la cui analisi pone in essere ragioni di disagio piuttosto che di emarginazione sociale alla base di preoccupanti fenomeni di abbandono, di demotivazioni o di scarso interesse allo studio, cause principali di quel basso livello emerso dai dati Invalsi. Sono sbagliati titoli come «Scuola: il nord batte il sud» o come «Le migliori scuole sono al nord». Il sud ancora una volta, nonostante sacche di eccellenza scolastiche, viene “battuto” non dal nord, ma dai suoi stessi mali endemici, ancestrali, talvolta istituzionalizzati e comunque lenti ad essere sradicati e che si chiamano: clientelismo, regressione economica, degrado socio-ambientale, illegalità diffusa e tollerata, rapporti di subordinazione tra chi ha ed è qualcuno e chi non ha e non è nessuno.

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