SANT’ANGELO Nelle lettere ritrovate la storia della prigionia di Basilio Ferrari

La nipote Gaia, studentessa del Maffeo Vegio, ha raccolto la corrispondenza in un libro

Di nonno Basilio sapeva poco o nulla prima. Sapeva che era nato nel 1917 e non aveva mai potuto incontrarlo. «Fino a che non mi sono capitate per le mani quelle lettere, che pensavo fossero lettere d’amore per la nonna. Dentro ci ho trovato la vita da internato, le sofferenze, le privazioni, i legami a distanza con la famiglia. Insomma, un patrimonio non solo affettivo, ma con un importante valore storico». E allora Gaia Ferrari, studentessa della quinta D del Maffeo Vegio, di Sant’Angelo, si è messa sulle tracce di nonno Mario Basilio Ferrari, soldato semplice che ha vissuto il dramma dell’internamento in Germania per due anni dopo l’8 settembre. E nel contesto dei progetto Pcto (l’ex alternanza scuola lavoro) è nato un lavoro - “Quello che eravamo. Mario Basilio Ferrari, un internato miliare italiano” - ricco di documenti storici, immagini, pezzi di vita, valorizzando i ricordi gelosamente custoditi in famiglia e oggi diventati patrimonio collettivo, con il supporto dell’Ilsreco - Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea - , e in particolare di Ercole Ongaro e Laura Coci, oltre che della docente del Maffeo Vegio Beatrice Maisano. Un lavoro che sarà reso pubblico da Ilsreco - sul sito Internet nella sezione dedicata a didattica e materiali - tra le iniziative per la ricorrenza del 25 aprile. Soldato di fanteria, Ferrari fu catturato dalla Wermacht il 9 settembre 1943 e deportato nel campo di Furstenwalde/Spree, nel Brandeburgo, al confine con la Polonia, come internato militare prima e lavoratore coatto poi. Il ritorno nel Lodigiano risale al 13 settembre 1945, dopo due anni di prigionia; sei anni e mezzo dopo la chiamata alle armi. «Un lavoro accurato e approfondito che racconta le vicende di uno dei protagonisti di quella che viene definita l’altra Resistenza - spiega Laura Coci di Ilsreco - , quella portata avanti dai tanti militari italiani catturati dopo l’8 settembre che rifiutarono di combattere per la Repubblica di Salò e che furono inviati nei campi di internamento». Una storia che Gaia ha raccontato tramite i reperti trovati nei cassetti di casa, tra documenti, cartoline postali inviate dal campo, spesso scritte con mozziconi di lapis e a volte anche usando uno pseudonimo da Basilio. Una ricerca che ha appassionato la giovane e le ha permesso di fare luce sulla storia della sua famiglia. «Mi piacerebbe continuare a fare ricerca, ma nel campo scientifico, quello della chimica farmaceutica - spiega lei - . In una biblioteca come in laboratorio serve lo stesso metodo di indagine, per entrare in un contatto con materiali che devono essere compresi e sviluppati».

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