SANT’ANGELO La centrale telecovid riparte da capo con i primi malati

Il primo paziente della riapertura è finito tre volte in terapia intensiva e si è contagiato due volte

La centrale telecovid di Sant’Angelo, chiusa da agosto per assenza di malati, ora ha ripreso a funzionare. Dopo il primo paziente, in sorveglianza, del 27 settembre, in queste ore, se ne sono aggiunti altri 2, uno in arrivo dal pronto soccorso, l’altro inviato dal medico di famiglia. Entrambi di giovane età. L’equipe della centrale, che normalmente si occupa di pazienti cronici, ha ripreso a sorvegliare i malati covid. Ogni paziente viene dotato di saturimetro.

Grazie alla piattaforma Zucchetti, ogni giorno, i parametri vengono inviati in centrale. Gli infermieri, coadiuvati dai medici, li tengono sotto controllo, 2 volte al giorno chiamano il paziente e seguono la sua evoluzione clinica. Se serve chiamano il 112 e il pronto soccorso e inviano il malato, già inquadrato, nei suoi bisogni clinici. Questo sistema, nei giorni scorsi, è stato premiato dal Politecnico di Milano. Ieri abbiamo incontrato l’equipe e il primo nuovo paziente del telecovid, appena dimesso. Stefano, un malato di 48 anni, che è stato 3 volte in terapia intensiva, è andato in arresto cardiaco e si è contagiato due volte. Si è ammalato la prima volta a metà marzo e dopo lunghe traversie, a settembre si è ammalato di nuovo: in queste ore è uscito dalla telesorveglianza.

Ieri è venuto a salutare e a ringraziare: «Ho avuto paura, ma loro sono stati fantastici - dice Stefano - sia qua che in pronto soccorso». Intorno a lui c’erano, oltre alla primaria Sara Forlani, la cardiologa Paola Ferraris che ha lavorato a stretto contatto con l’anestesista Simonetta Protti, Emanuela De Witt, Lorenzo Accettura, Marina Bianchi, Paola Cavalloni e Maria Concetta Sortino. Insieme a loro hanno lavorato Veronica Savini ed Edith Valdivieso. Tutto il gruppo è stato coordinato dall’infermiera Maria Grossi. A lavorare sono stati 8 medici e 29 infermieri. «Se abbiamo funzionato bene - spiega Ferraris arrivata a fare questo lavoro dal reparto di cardiologia di Lodi - è perché abbiamo lavorato in gruppo. Eravamo ben assortite anche nei ruoli. Katia Pellegrino andava a fare le visite a domicilio quando c’erano dei dubbi». Se le infermiere avevano bisogno di aiuto a interpretare le situazioni cliniche si appoggiavano alla dottoressa Ferraris e alla dottoressa Protti. «Io ho imparato da lei le problematiche del respiro - dice Ferraris - e lei ha imparato da me quelle cardiologiche. La gente ci ha detto “grazie” con le lacrime agli occhi. È stata una bella esperienza». In tutta la pandemia hanno seguito 558 malati.

«Il servizio ha funzionato 7 giorni su 7 -spiega la primaria Sara Forlani - grazie a tutto il gruppo e a chi lavorava da casa». «Anche di notte - spiega Ferraris - mentre dormivo, mi tornavano in mente le telefonate dei pazienti. Emotivamente è stato molto coinvolgente. La nostra vita era qui». «Alla mattina, appena arrivate - spiega Sortino - ci collegavamo, guardavamo i dati. Se avevamo dei dubbi allertavamo subito le dottoresse». «Con i pazienti si instaurava un rapporto di fiducia - aggiunge Bianchi - se tardavamo a chiamare, ci rimproveravano». Le operatrici erano la loro ancora di salvezzan.

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