SANT’ANGELO Alla cascina Belfuggito
un’eredità fatta di rifiuti

Estirpata la piaga delle occupazioni restano altri problemi da risolvere, a partire dalla necessità di una bonifica

A celare alla vista di chi è di passaggio su via dei Boschi, oggi c’è un vero e proprio muro vegetale. Il verde del campo di granturco è l’unico colore che è possibile cogliere dal percorso di asfalto che attraversa i campi e va dritto su per le colline. Basta svoltare a sinistra allo svincolo sterrato - spalle alle città e all’ospedale Delmati - , ai piedi del cartello che indica cascina Belfuggito e della telecamera posata da palazzo Delmati puntata sull’intersezione, e percorrere qualche decina di metri a passo d’uomo, per vedere quel che resta oggi di una storia travagliata, complessa e durata anni. Una vicenda fatta di occupazioni abusive, blitz e recupero di refurtive da parte delle forze di polizia, di tavoli delle istituzioni e di ricerca di soluzioni, di pressing politico e di prese di posizione, persino di manifestazioni e striscioni. Perché negli ultimi anni cascina Belfuggito non è stata solo una vicenda di illegalità con risvolti sociali, ma anche un ritornello politico motivo di scontro duro; dibattito che, ancora oggi, come raccontano le cronache social degli ultimi giorni, in questo anticipo di campagna elettorale, non accenna a placarsi. E anzi continua a generare frizioni fra le parti politiche in campo in città, nonostante la soluzione, almeno sul fronte occupazioni abusive, sia ormai cosa fatta, grazie - come ha detto il prefetto Giuseppe Montella in visita in città a fine luglio - alla collaborazione e alla sinergia di tutti gli attori coinvolti, che ha portato agli alloggi quasi tutti vuoti e murati dalla proprietà.

Ancora da affrontare invece la bonifica del sito dopo anni di abbandoni di rifiuti di ogni genere. Perché quel che si vede, percorrendo la strada sterrata in direzione dell’ex complesso rurale, è ancora una distesa senza fine di rifiuti: uno spiazzo verde diventato una discarica abusiva negli anni. Ci sono due auto cannibalizzate, un furgone bianco, anche questo senza portellone; ci sono lavatrici, divani, pezzi di mobili. Accatastati uno sull’altro, sia qui sia lungo tutto il perimetro di strada che porta agli alloggi. Tutta l’area è privata certo, ma difficile, come ha già detto uno dei proprietari, farsi carico senza aiuti dalle istituzioni di uno smaltimento simile. Appena oltre, arrivando alla prima corte del complesso, l’immagine che dà il segno del cambiamento. Quella contraddistinta dal rosso dei mattoni posati di recente su porte e finestre di un intero caseggiato di un giallo intenso: oggi una scatola rettangolare senza più accessi o uscite.

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