SAN GIULIANO Operaio 20enne di Paullo perse il braccio: i vertici aziendali finiscono sotto processo

Un intervento a Niguarda aveva dato speranze ma poi il giovane ha dovuto ricorrere alla protesi

Braccio amputato da un macchinario in una fabbrica di medicinali di Sesto Ulteriano: in sei sono finiti sotto processo a Lodi per lesioni gravissime colpose e violazione di norme sulla sicurezza sul lavoro. Il gravissimo infortunio si era verificato il 13 febbraio del 2017, nello stabilimento Acs Dobfar: un operaio ventenne di Paullo, mentre stava effettuando una delle frequenti pulizie di un essicatore, si era ritrovato con l’avambraccio sinistro tranciato di netto dalle lame interne del cilindro di acciaio.

Soccorso dai colleghi e trasportato con la massima urgenza all’ospedale milanese di Niguarda, assieme alla sezione di arto tagliata, era stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico con l’obiettivo di salvare almeno in parte la funzionalità, nonostante la compromissione di tessuto osseo, muscolare e tendineo. Ma l’ottimismo trapelato nelle prime ore dalla sala operatoria era durato poco: l’operaio, oggi 25enne, da allora vive con una protesi e deve fare tutto con la sola mano destra. I tecnici dell’Ats, intervenuti come avviene per ogni infortunio, avevano contestato all’azienda diverse irregolarità, tesi poi condivise dalla Procura. Ma non dagli imputati: la catena gerarchica dello stabilimento, dal responsabile per la sicurezza dei lavoratori al preposto in su, che, ciascuno per il proprio ruolo, respingono le accuse. Si tratta dei milanesi R.B., 86 anni, N.C., 47 e M.L., 50, di G.V., 63 anni, bergamasco, R.A., 55, di Matera, e di G.T., 53 anni, calabrese.

Ora il processo è entrato nel vivo, con le testimonianze di altri operai impegnati in quel reparto.

«La pulizia dell’essicatore Md1 avveniva dopo ogni lavorazione, trattandosi di prodotti farmaceutici - ha ricordato tra l’altro un testimone -. Si apriva il coperchio del contenitore di acciaio ma per pulire bene le lame bisognava farle ruotare. Dato che un sensore di sicurezza impediva la rotazione a coperchio aperto, si inseriva un bullone per “fargli sentire l’acciaio”, e un altro lavoratore, dal quadro comando, faceva ruotare il miscelatore». Un collega ha poi aggiunto davanti al giudice: «Era capitato in precedenza di pulire con il miscelatore in rotazione. Dopo quell’infortunio, ricordo che il coperchio non si poteva più aprire e la pulizia veniva effettuata diversamente». Il lavoratore non ha ritenuto finora congruo il risarcimento offertogli dall’azienda e ha in corso una causa civile, i suoi genitori sono costituiti parte civile nel processo con l’avvocato Ezio Torrella di Bologna.

© RIPRODUZIONE RISERVATA