Salviamo le cascine del Lodigiano

Sul Cittadino del 23 e del 24 febbraio leggo l’articolo: “Le cascine lodigiane vanno verso la rovina” e la lettera di Paolo Pileri; “Dite la verità ai cittadini sul consumo del territorio”. Ne condivido pienamente il contenuto che riesce a farmi indignare con tutti, preciso tutti, coloro che hanno ridotto in tal modo il nostro territorio, pur sapendo che lo sdegno non smuove nulla, tanto meno la coscienza sterile di chi, agendo alle nostre spalle, coscienza non ha. E la coscienza implica tutto: verità, giustizia, rettitudine, onestà, civismo, rispetto e altro. Virtù che oggi non sono più considerate virtù.Ripenso allora alle nostre cascine e per loro, solo per loro, spendo alcune parole e apro il cuore a ciò che lo stesso mi suggerisce. Sono poche frasi d’amore per questo patrimonio di cui più nessuno si cura.“Le cascine della nostra pianura hanno il volto della bellezza sfiorita. Nel tempo del massimo splendore la vita pulsava nel loro cuore e nelle loro arterie. Immerse nel profondo di una terra verde e rigogliosa, incastonate qua e là come gemme preziose, brillavano nel loro roseo incarnato, ora acceso dalla luce del sole, ora pallido e discreto, ma non meno fresco ed aggraziato, al chiaror della nebbia o all’innocenza della neve.Sempre in fermento nel pulsare dei giorni, dispensavano amore, protezione, rifugio, nel loro grembo fecondo di relazioni, di gesti ripetuti, di lavori antichi. Le accompagnavano le gioie e i dolori della vita, ma esse, salde e sicure, tenevano il capo alto e fiero, dritte e tenaci come prue di una nave che mai perde la rotta, che mai abbandona il timone.Le alimentava il fuoco dell’amore, la fedeltà all’uomo che le aveva scelte e che in esse trovava dolcezza, passione, calore. Non temevano gli attacchi del tempo, forti del sentimento che univa l’uno all’altra, sostenute da un reciproco dono di aiuto e di trasporto.Poi un giorno si compì il tradimento. L’uomo si stancò di quel legame lungo e tenace e voltò le spalle all’offerta d’amore gratuitamente dato. Cercò altri lidi, altri approdi, effimeri e volubili, e dimenticò la promessa, rinnegò quell’unione feconda rinnovata per secoli.Pianse, la cascina, abbandonata alla sua umiliazione, e si lasciò morire. Senza uno sguardo, senza un addio, senza un rimpianto. Morì anche la terra intorno, che era stata il suo diadema; si spense arida ed ingrigita, deserta e dimenticata, senza guizzi di verde e di colori, monotona nel suo aspetto al girar delle stagioni.”

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