Salvare la terra è possibile

Bisogna denunciare con forza che nel nostro Paese è in atto il più spaventoso processo di smantellamento dell’agricoltura che la storia ricordi. Abbandono e cementificazione marcano le nuove forme del paesaggio italico che, a differenza di quelle sedimentate dalla storia e dalla tradizione, esprimono un desolante squallore. È un fenomeno che si percepisce con gli occhi, prima che con i dati. Ed è un fatto paradossale e in apparenza inspiegabile che esso avvenga nel momento stesso in cui nel pensiero agronomico, nel dibattito pubblico e nelle politiche di governo del territorio sembra prevalere una nuova attenzione alle forme di agricoltura biologica e naturalistica e alla green economy, e si affermano nuovi concetti del cibo e della gastronomia quale espressione delle culture e delle comunità contadine (Slow food e Terra Madre in primo luogo). Sono però le superfici cementificate a preoccupare, perché sono una trasformazione di tipo permanente e irreversibile nell’uso del suolo, che ha un impatto devastante sull’ambiente e sulla biosfera. Se nessuno interviene, è prevedibile che nei prossimi 40 anni, come mettono in guardia le statistiche nazionali, altri 1,5 milioni di ettari si aggiungeranno alla coltre di cemento e per l’agricoltura professionale e il bel paesaggio sarà davvero la fine. Rischia molto il Lodigiano, che mostra indicatori di consumi di suolo superiori a quelli delle vicine province di Cremona e Mantova e alla stessa media nazionale. E’ venuto il momento di agire, nella consapevolezza che questo modello di sviluppo porta alla rovina materiale e morale della nazione.Il governo, per parte sua, è corso ai ripari. Il Ministero delle politiche agricole ha predisposto uno studio conoscitivo, mentre il Consiglio dei ministri ha approvato qualche settimana fa un disegno di legge Salva suolo che in sostanza stabilisce una soglia invalicabile ai consumi di suolo e ai mutamenti di destinazione d’uso dei terreni agricoli. Lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti ne ha dato l’annuncio con toni scarni al Telegiornale, rimarcando che la perdita di suoli ha raggiunto livelli non più tollerabili. Che l’agricoltura assurgesse agli onori della cronaca e diventasse oggetto di un pronunciamento delle massime istituzioni non accadeva dagli anni del dopoguerra, quando l’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi annunciava una dura lotta contro la distruzione del suolo italiano e il governo De Gasperi, sull’onda dei decreti proposti dal ministro dell’agricoltura Fausto Gullo, gettava le basi dell’assegnazione delle terre a braccianti e contadini poveri, della riforma agraria e del rafforzamento della proprietà coltivatrice. Dobbiamo arguire che siamo arrivati a un punto di svolta? A mio avviso, non si può esserne certi perché in Italia ci sono lobbies che spingono verso i consumi di suolo, in un sistema produttivo che vede erroneamente nell’edilizia privata il motore dello sviluppo e nelle Grandi Opere il volano dell’economia e del lavoro. Questa mia visione pessimistica è giustificata dall’osservazione che i politici navigati vogliono il risparmio dei suoli e al tempo stesso la costruzione delle grandi infrastrutture. I due obiettivi sono tra loro inconciliabili e pertanto i suoli non potranno essere tutelati finché le economie nazionali saranno fondate sul consumismo e sulla dilapidazione delle risorse naturali.In conclusione, salvare dal cemento i terreni agricoli è possibile, ma l’impresa non è facile e il successo non è scontato.

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