Sacerdoti tra speranza e memoria

Al Triduo santo, nella rievocazione liturgica della grande sofferenza di Cristo, si partecipa sempre con animo attento e commosso, rivivendo nell’intimo le fasi più dense di mistero e di grazia nelle quali il Redentore operò la nostra salvezza. La messa del crisma è celebrata il mattino del giovedì santo, e i sacerdoti vi partecipano rinnovando le promesse fatte pochi o molti anni prima, all’inizio del ministero. Soprattutto in loro, nello svolgersi del rito, i sentimenti si affollano con intensità e forza, proiettandosi nel futuro o rivivendo il passato, in un incontro di speranza e di trepidazione al pensiero del sovrumano mistero di cui, poveri vasi di argilla, si sono trovati - per grazia e solo per grazia - ad essere partecipi. I giovani alimentino la speranza e chiedano all’eterno e sommo Sacerdote di godere, nell’intimo dello spirito, di una continua percezione della sua presenza. Ogni fedeltà, oggi, in qualunque tipo di vocazione a cui si sia data risposta, è un prodigio, perché siamo tutti raggiunti da assalti di desideri infiniti, destinati, nell’urto con la realtà, a sgretolarsi miseramente, sino ai baratri del nulla. Per gli anziani sarà impossibile, nella commozione con cui si partecipa al rito, sottrarsi a sentimenti di trepidazione. Gli anni trascorsi ricompaiono nella memoria come, di fatto, furono, cioè segnati, nelle certezze collettive, da smarrimenti e da foschie, al soffio di brezze certo ingannevoli, ma suadenti e non prive di fascino. Tutto, ora, viva nel ricordo dell’onda di grazia, di cui mai venne meno il dono.

Verso sera del giovedì santo, ci si incontra per la messa nella cena del Signore, ove il rito e i testi rimandano al cenacolo, quando Gesù, nella notte in cui fu tradito e in prova d’amore per i suoi sino alla fine, istituì l’eucaristia, per rendere perenne la sua presenza fra noi. Nella mente di chi prende parte alla celebrazione resta fissa l’immagine di quell’incontro del Redentore con il gruppo degli apostoli, in un’atmosfera di dolore e di amore e nell’incertezza dei cuori, che non potevano non presentire l’angoscia dell’ora estrema. Giuda aveva già consumato il tradimento e Pietro si sarebbe avventurato tra difficoltà e pericoli sino al compiersi della profezia di Gesù su di lui, al duplice canto del gallo.

Dopo il rito dell’inno, Gesù si diresse, con gli apostoli, al monte degli ulivi. Si avvicinava l’ora delle tenebre, segnata dal bacio di Giuda e dal sopraggiungere dei soldati. Nell’estrema stanchezza e per il trepidare dei cuori, gli apostoli - anche i prediletti - non erano riusciti a vegliare in compagnia del Maestro, che, nella preghiera rivolta al Padre nell’atto di prendere su di sé il peso dei peccati del mondo, si era sentito triste sino alla morte, versando sudore di sangue. I seguaci del Redentore non potranno dimenticare quell’ora di angoscia estrema. Il mistero dell’iniquità rivelava il suo terribile volto e si delineavano gli estremi del duello che avrebbe segnato la storia in ogni tempo e su tutta la terra, nello scontro fra le tenebre del peccato e del male e la luce offerta dal Redentore. La fede e l’adesione al Signore rendono ancora più acuta la percezione del mistero del male che devasta la terra, e il cuore sembra spezzarsi al ricordo dell’empietà e delle offese recate a Dio e all’uomo, nello scatenarsi delle ingiustizie e dei soprusi, della violenza e dell’empietà ostinata e cieca.

Oppresso da questi pensieri, il cristiano deve aderire con fede ancora più intensa al suo Signore, e ritrovare la forza di credere che, per un sovrumano mistero - quello della redenzione attuata dal Verbo fatto carne - le tenebre dell’errore e del male finiranno annientate e sconfitte, nel trionfo del Signore della vita. Il passaggio dall’agonia del Gethsemani e dall’oscurità del sepolcro alla luce della Risurrezione, esprime in pienezza la visione della realtà e della vicenda umana secondo la fede del cristiano. I riti del Triduo santo ci guidino ad accogliere con perfetta adesione di fede la luce e la grazia di questi sovrumani misteri.

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