Ridurre la pressione delle tasse

Se guardiamo l’anno trascorso il panorama non è confortante e anche le prospettive di crescita futura sono sempre più pessimistiche. I consumi sono in continuo, rapido calo e dall’inizio del 2012 c’è stato il crollo della produzione industriale. Di conseguenza aumenta il ricorso alla cassa integrazione e anche i dati sull’occupazione giovanile sono preoccupanti. Il carico fiscale, poi, è diventato insostenibile. Ma soprattutto mancano le idee e gli interventi concreti per rilanciare l’economia e il Paese. E’ questo il nodo cruciale, perché non si offrono prospettive, si soffoca ogni ottimismo. Sul piano sociale vediamo famiglie al limite della soglia di povertà e giovani senza prospettive future: sono i segnali di allarme di tensioni che rischiano di esplodere. Anche quelli che erano i punti di forza del nostro Paese, come la solidarietà e la coesione sociale, sembrano aver perso vigore in un sistema egoista e incapace di guardare lontano.

Nell’Unione Europea gli Stati più benestanti curano i propri interessi immediati e non quelli collettivi a lungo termine. Proprio la mancanza di una politica economica e fiscale comune ai Paesi che adottano l’Euro e la scarsa collaborazione fra gli Stati sono la vera debolezza della moneta unica. Per tornare a crescere bisogna riscoprire i forti valori unitari alle origini dell’Europa unita, rilanciare ideali di lungo periodo e quella solidarietà che mitiga l’individualismo eccessivo.

Stare vicini per sperare

Al di là dei singoli dati, il vero punto critico riguarda i risvolti umani e sociali di questa situazione. Anche noi siamo colpiti dai gesti estremi di imprenditori schiacciati dalla crisi: l’impatto emotivo è forte. Ma stiamo bene attenti a non perdere la speranza persino in queste condizioni! Vorrei che una cosa fosse chiara: la vita è un bene preziosissimo! Non ha prezzo! Il valore della vita di una persona non si misura certo con la riuscita nel lavoro e neppure si svaluta in presenza di debiti. Gli affetti e le relazioni personali sono la nostra risorsa migliore, soprattutto nei momenti di maggior difficoltà. Perciò non lasciamo spazio allo sconforto e ricordiamoci che non siamo soli.

Certo, viviamo in uno Stato che non favorisce i piccoli imprenditori: rapido e senza appello quando deve incassare, ma capace di far aspettare lunghi mesi quando deve saldare i propri debiti.

In Italia la media dei ritardi nei pagamenti è di 180 giorni contro i 64 della Francia e i 35 della Germania.

E’ chiaro che questo problema non riguarda solo i crediti vantati verso il pubblico, ma anche molte transazioni commerciali fra grandi imprese e realtà minori. Il risultato, comunque, è che tra tempi di attesa lunghissimi, clienti insolventi e difficoltà di accesso al credito i pagamenti rappresentano davvero un problema enorme per gli artigiani. Al punto che per molti di noi ormai la logica è riuscire a “tirare a fine mese”, vivere sempre in emergenza.

Siamo l’anello debole di una catena dove ci sono anche alta pressione fiscale e burocratica, evasione fiscale ed economia sommersa. Una catena che rischia di strangolare i cittadini onesti.

E ci impedisce di essere competitivi sui mercati internazionali.

Perciò al Governo chiediamo risposte immediate innanzitutto su: liquidità, credito, burocrazia, costo del lavoro e fiscalità. E anche di creare le condizioni per investire in Italia, per mantenere nel nostro Paese i capitali interni e attrarre quelli esteri. E’ davvero importante che le risposte arrivino in fretta, prima che la crisi travolga anche le aziende sane.

Alle banche chiediamo di riprendere a far circolare il denaro verso il mondo produttivo - ovvero fare il loro tradizionale “mestiere” - per permetterci di pagare fornitori e dipendenti e tornare ad investire. Stateci vicine, sempre!

A tutti dico che non stiamo chiedendo privilegi ma rispetto per il nostro lavoro, attenzione alle nostre fatiche e difficoltà, equità. Perché siamo noi e i nostri collaboratori che, nelle piccole realtà produttive, teniamo in piedi il sistema Italia.

A livello locale ringraziamo le istituzioni, Provincia, Camera di Commercio e amministrazioni comunali che, pur in un quadro sofferto, non ci hanno fatto mancare il loro sostegno. Da parte nostra abbiamo sempre nutrito la vita economica - ma anche il tessuto sociale della provincia - con una politica di solidarietà e collaborazione.

Perciò chiediamo risposte chiare anche a livello locale, a partire dall’avvio di azioni di sistema per favorire nuove realtà produttive di medie dimensioni.

Cioè quelle che nei decenni precedenti hanno creato l’indotto e fatto da volano alle imprese artigiane, commerciali e quelle dei servizi.

Agli Amministratori locali, poi, chiediamo di starci vicini con gesti concreti. Innanzitutto avviare un ciclo virtuoso di pagamenti in tempi accettabili e privilegiare le imprese del territorio, nei limiti previsti dalla legge. Poi aiutare le aziende anche attraverso l’applicazione di aliquote eque per i tributi locali, che sono per noi una nota dolente.

In particolare per l’IMU li invitiamo a scegliere un’aliquota bassa per supportare chi ha acquistato a fatica, con l’impegno di una vita, il capannone dove lavora. Anche perché l’IMU gira il coltello nella piaga del settore edilizio, già drammaticamente in crisi, che rappresenta ben il 50% del tessuto imprenditoriale artigiano.

Se si riduce la pressione fiscale si liberano risorse per rilanciare gli investimenti e l’occupazione. E’ quello che vogliamo per il bene di tutto il Lodigiano. Perché il nostro legame con il territorio è fortissimo e siamo orgogliosi delle nostre origini lodigiane.

Siamo convinti che nel Lodigiano innanzitutto, ma anche in Italia e nell’Eurozona, occorra ‘fare squadra’ e giocare a carte scoperte: la sfida che abbiamo davanti - sopravvivenza e sviluppo - è troppo grande per occuparci dei singoli interessi.

Restiamo uniti e solidali per riprendere la nostra dignità e il posto che legittimamente ci spetta: al cuore dell’economia italiana.

Concludo con un invito: teniamo viva la speranza, ce la faremo!

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