Ricordi dolci e struggenti... e un’attesa

E le antenne con cui si accede ai santuari più riposti dell’anima restano in azione, si vivono i giorni della settimana santa con speciale intensità di fede, riuscendo a cogliere il senso di ciò che c’è di nuovo e di inconsueto attorno a noi. Il ritmo delle opere non muta e la società conserva i segni della secolarizzazione, ma l’Uomo della croce imprime un po’ ovunque il suo volto, coronato di spine, crocifisso e risorto. I riti aiutano nell’incontro, accompagnando il credente in un viaggio dell’anima accanto al suo Signore, dall’agonia del Gethsemani alla luce radiosa della risurrezione. I personaggi della vicenda umano-divina assumono contorni che rispecchiano le fasi misteriose e complesse con cui da sempre ci si muove nel cammino verso Dio: Giuda tradisce, Pietro vacilla, un piccolo gruppo accompagna Gesù al calvario, il centurione e il ladro in croce giungono alla fede. Viene dato l’annuncio della Risurrezione ma Tommaso resiste, e fu possibile camminare verso Emmaus con il Signore, accorgendosi però di lui solo dopo doni e segni speciali della grazia divina.È noto che tutti questi eventi rivivono in una ritualità strettamente liturgica o in forme di pietà popolare, radicate da secoli nella prassi e nel costume. Ognuno di noi ha qualche ricordo al proposito, dolce e struggente soprattutto se rimanda all’infanzia e al paese di tempi e anni lontani, ritenuti felici, forse, perché tra le cose che non ci sono più. Mi assale, ora, il ricordo del mattutino delle tenebre, celebrato all’inizio del triduo santo, al quale i chierichetti partecipavano con compiti segnati da novità e in riti destinati ad evocare l’atmosfera di buio e di morte in cui il Signore fu consegnato e tradito. I testi latini, misteriosi e recitati in toni di sofferenza e di lamento, erano parte essenziale del rito, nel quale, su candelabri speciali, flebili luci si spegnevano a ritmo programmato, così da creare l’immagine di ciò che avvenne quando il potere delle tenebre si scatenò contro l’autore della nostra salvezza.A un certo punto del rito bisognava assestare colpi sulle panche ove ci si era collocati per la celebrazione. Si sussurrava, tra noi bimbi, che i colpi erano diretti contro chi aveva fatto del male al Signore. Un po’ per questo motivo e un po’ per volontà di agitarsi, qualche ragazzino vivace pestava un po’ troppo, sino a subire rimbrotti o, persino, ceffoni. Sempre nel triduo santo, era molto avvertito il silenzio delle campane, nei tempi prescritti. L’assenza di suoni allora tanto consueti e amati e sui quali correva il ritmo delle opere e dei giorni, era «mestissimo rito», segnato da dolore e da lutto. C’erano, in sostituzione, i suoni sgraziati della bàttola (berlòca o baciòca, da noi) ma ciò rendeva ancor più evidente il senso da dare a quei giorni.Ben diversi i sentimenti e i pensieri con cui, qualche anno dopo, mi trovai a partecipare ai riti del triduo santo nella nostra cattedrale, venendo dal Seminario. Trasalivo nell’anima all’ascolto dei testi e delle musiche delle Lamentazioni e dei canti all’adorazione della croce, il venerdì santo. Nel ricordo della morte dell’Uomo-Dio, si ricostruivano temi e fasi della storia della salvezza. Gerusalemme desolata perché costretta alla servitù e all’umiliazione, evocava le sofferenze del corpo mistico di Cristo lungo il corso dei secoli e per l’opera misteriosa e incessante del Maligno. Nei canti all’adorazione della croce risuonavano le parole di angoscia con cui Jahve si rivolgeva agli israeliti, chiedendo con accorate parole il perché del loro oblio e della ribellione proprio nei confronti di chi li aveva liberati dall’Egitto e condotti alla Terra promessa. Si affacciavano, così, alla mente le ombre del mistero dell’iniquità di cui il Signore evocava la tragica forza, portandone il peso sino a versare sudore di sangue.Rivivo ora quei giorni con tenerezza dolce e struggente. Da quei tempi, per me dell’infanzia e dell’adolescenza, mi sembrano trascorsi anni luce e molto è mutato anche nei riti e nei modi con cui ci si accosta oggi alla sovrumana e divina sublimità del mistero cristiano. Davvero molto è mutato ma non tutto, anzi, forse, quasi nulla nella sostanza profonda della realtà e della vita. Siamo, infatti, ancora qui, in attesa, come da sempre, che l’Amore di Dio ci accolga e ci salvi.

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