Renzi e la scuola che verrà

È iniziato un nuovo anno scolastico e questa volta possiamo dire che le vacanze estive sono servite ai nostri governanti a mettere a fuoco le nuove linee guida sulla scuola che verrà. Una scuola che il governo ha messo nero su bianco, pubblicando il Patto Formativo «La buona scuola – facciamo crescere il paese», chiamando tutti a collaborare direttamente con proprie idee per far nascere una scuola nuova senza per questo parlare di riforma. Un progetto ambizioso che tocca diversi aspetti, ma che per la prima volta può trovare, iniziando dal basso, quelle motivazioni chiaramente espresse dalla scuola reale e non dalla scuola ideale. Un rapporto sintetizzato in dodici punti che tocca tutto ciò di cui la scuola ha bisogno per rivedere se stessa. Si parla di fine del precariato con la messa a riposo delle ataviche graduatorie e l’avvio di nuovi sistemi di assunzione dei docenti: i concorsi. Si parla di organico funzionale a disposizione delle scuole ovvero di docenti individuati come una risorsa in grado di far fronte alle supplenze. Un paragrafo interessante è quello dedicato alla valutazione e al merito. La prima punta alla qualità del servizio scolastico, il secondo tiene conto della disponibilità del docente a mettersi in gioco, dedicando tempo ed energia al compito per cui è stato chiamato. L’aggiornamento costante e la formazione continua saranno gli elementi caratterizzanti di un riconoscimento professionale che vedrà un corrispettivo riconoscimento anche economico. Alla scuola spetta, quindi, il compito di promuovere aggiornamento e formazione che sono poi due aspetti fondamentali della professione docente. La didattica viene ad essere coinvolta in maniera preponderante al punto che si fa riferimento all’azione di pedagogisti del calibro di Don Milani, Don Bosco, Maria Montessori e Loris Malaguzzi. Tre grandi del secolo scorso che, a vario titolo, hanno lasciato in eredità una preziosa testimonianza di “cantieri” ancora oggi aperti. Non meno interessante è il capitolo relativo all’abbattimento delle procedure burocratiche che rendono la vita difficile. Lacci e laccioli comprimono la stessa autonomia scolastica fino ad annullarne l’efficienza e l’efficacia, rendendo vano ogni tentativo di cercare una diversa via d’uscita nel particolare cammino della formazione degli allievi. Eppure il D.P.R. 275/99 offriva, nel suo vasto articolato, una seria possibilità di uscire dal ginepraio di norme e normette che da sempre imbrigliano la scuola avvitandola su se stessa. Non ci sarà mai un miglioramento qualitativo dell’azione didattica almeno fino a quando non si lascerà la scuola libera di organizzare il proprio percorso nel rispetto delle retrovare nelle proprie responsabilità la chiave di lettura per dare forza e incisività all’azione di valorizzazione della professionalità docente. Non a caso nel rapporto si parla di «scuola che deve poter schierare la miglior squadra possibile». E come si potrebbe «schierare la miglior squadra possibile» se non si mette l’allenatore nelle condizioni di scegliere i giocatori? Di grande impatto è il capitolo sull’alternanza scuola-lavoro che viene fuori notevolmente potenziata con forti investimenti sia in ore di esperienze sia in risorse economiche mirate. In effetti queste particolari esperienze consentono ai giovani di entrare a diretto contatto con il mondo produttivo dove idee ed energie riescono a trovare una qualificate congiunzione tra scuola e lavoro. Sono previsti forti investimenti nei laboratori dando un notevole impulso alla didattica laboratoriale, la sola in grado di offrire occasioni di vera e autentica relazione educativa basata soprattutto sulla socializzazione e sul metodo della ricarca-azione. Evidentemente il premier Renzi questo lo ha capito benissimo visto che ha preannunciato notevoli investimenti nell’ordine di circa cento milioni di euro. La cosa che, invece, mi lascia perplesso nella lettura del rapporto è il cambiamento di rotta sull’efficacia della tecnologia digitale. Cerchiamo di capire meglio. A dire del nostro premier gli istituti che negli ultimi anni si sono dati da fare per munire le classi delle lavagne interattive, ora dovrebbero ripensare a nuovi sistemi tecnologici che puntino a un diverso e più incisivo approccio metodologico. E’ come dire che bisogna mandare in pensione le LIM (Lavagne Interattive Multimediali) poiché i ragazzi sono già un passo in avanti al punto da indurre gli esperti del Ministero a ripensare e suggerire nuove strategie su rinnovate proposte tecnologiche. Ora è vero che la tecnologia induce i fruitori, nel nostro caso allievi e docenti e quindi la scuola, a rincorrere le novità per meglio affrontare il mondo che cambia, ma che ora dobbiamo già archiviare il capitolo LIM appena aperto e pensare ad altro, mi sembra un po’ esagerato. E’ come mandare per aria il concetto culturale di ricorso alla metodologia digitale applicata alla didattica. Per cui è bene, a mio modesto parere, continuare a utilizzare la tecnologia per ciò che effettivamente rappresenta, ovvero una proposta in grado di determinare un valore aggiunto all’azione didattica visto e sentito sia come valore etico che come valore strumentale. Decisamente innovativo è l’invito molto esplicito di ricorrere all’aiuto di privati per portare avanti le proposte progettuali della scuola. Posso dire che non è una novità. Già da tempo il privato, accolto nella scuola con una certa riserva mentale, ha capito l’importanza di contribuire a far crescere le future generazioni, percorrendo la strada delle alleanze attraverso l’interazione tra scuola e forze produttive presenti sul territorio. Oggi purtroppo il problema è un altro. A quali forze produttive del territorio una scuola deve rivolgersi se una crisi sempre più drammatica sta mettendo in ginocchio il sistema dell’interazione con gravi risvolti sociali ed economici? Proprio ora che arriva la benedizione del governo all’apertura delle scuole all’ingresso dei privati così osteggiato fino all’altro ieri, si è messa di traverso questa crisi micidiale che vanifica ogni tentativo di trovare apporti privati. Tutto bene dunque? Non direi visto che le linee guida sono per Benedetto Vertecchi, pedagogista alla Sapienza, «figlie di chi parla della scuola come parlerebbe di una fabbrica di saponette. Una falsa soluzione che può venire in mente soltanto a chi la scuola non la conosce». Ahia! Una freccia scoccata da un pedagogista di sinistra, alla sinistra. Evoluzione del pensiero o insipienza di un sapiente?

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