Apprezzando l’attenzione dedicata dal «Cittadino» al tema del futuro della Provincia di Lodi, con il relativo dibattito che ne è emerso, mi permetto di portare un piccolo contributo al riguardo. In generale, è condivisibile la posizione di quanti sostengono che la cancellazione dell’ente provincia di per sé abbia scarsa utilità, anche in termini di risparmio economico, se non inquadrata in una rivisitazione complessiva dell’ordinamento statale.Anzi, se il processo non viene gestito in modo estremamente scrupoloso e razionale, i costi potrebbero essere persino superiori ai benefici, con migliaia di persone da ricollocare e/o riqualificare e con servizi che rischiano di essere allontanati dal territorio (nel caso vengano assorbiti dalle regioni) oppure di andare ad ingolfare comuni troppo piccoli perché possano farsene carico in modo efficiente.Ciò premesso, il nostro Consorzio collabora abitualmente con imprese e soggetti extra – provinciali, rappresentando un polo di interesse ed attrazione specialmente per i territori limitrofi, e quindi la prospettiva dell’aggregazione non solo non ci incute particolari timori, ma anzi, costituisce già un dato fondante del nostro lavoro e un fattore di potenziali opportunità.Tra le tante soluzioni prospettate, quella che reputiamo più ambiziosa professionalmente, per quanto poco gettonata al momento, è rappresentata dall’unione con Piacenza, che ha il vantaggio da una parte di superare senza affanni tutti i parametri previsti dalla normativa, e dall’altra di aprire inedite ed ambiziose prospettive di crescita e sviluppo reciproco.Le criticità legate al “salto” di regione potrebbero peraltro facilmente essere risolte tramite l’indizione di un referendum popolare.Questa soluzione consentirebbe anzitutto di “uscire dall’angolo”, ribaltando un atteggiamento difensivo diffuso in questa fase che, pur comprensibile nella delicatezza del momento, impedisce di cogliere le opportunità in gioco, con il rischio intanto di dover intraprendere una rincorsa disperata all’ultimo lembo di terra per rispettare i parametri ministeriali, e poi di ritrovarsi comunque in una posizione di subalternità in un futuro contesto sempre più definito dalla supremazia politica ed economica della metropoli milanese, il centro attorno al quale finirebbero per ruotare le poche province residue.Per contro, con la provincia Lodi – Piacenza assisteremmo alla creazione di un aggregato innovativo e strategico, collocato al centro di primarie vie di comunicazione, dotato di una piattaforma territoriale, agricola, industriale e finanziaria di tutto rispetto e in grado di proporsi in condizioni di pari dignità, se non di leadership, rispetto a numerosi altri interlocutori provinciali.Inoltre, questa soluzione non esclude di per sé l’aggregazione dei contigui territori del cremasco, ma anzi, può costituire l’asse portante di un progetto di più ampio respiro.Dall’osservatorio del nostro Consorzio il confronto con colleghi ed imprenditori piacentini ha fatto emergere fattori di similarità e complementarietà sul piano produttivo e sociale, con molte aziende del basso lodigiano che già fanno capo a famiglie piacentine e che con il piacentino vantano una forte interdipendenza, mentre nel nostro settore constatiamo semmai una divaricazione normativa derivante dalle differenti regioni di appartenenza e conseguenza delle leggi Bassanini e della loro distorta interpretazione del decentramento amministrativo, la quale ha finito tra l’altro per relegare alle singole regioni, quando non ad enti di livello addirittura inferiore, funzioni e competenze a forte valenza nazionale come la promozione del sistema economico e produttivo sui mercati esteri.Ciò ha favorito la dispersione su larga scala di risorse preziose anche nei contesti apparentemente più virtuosi, come quello lombardo, dove peraltro, rispetto all’Emilia Romagna, non solo è spesso mancata ogni sensibilità per le istanze dei consorzi export, ma è venuta progressivamente meno anche quella necessaria continuità politica e legislativa, oltre che finanziaria, a sostegno delle normative per l’internazionalizzazione d’impresa.Da questo punto di vista l’ambiente emiliano, forte già di un radicato impulso alla cooperazione imprenditoriale ed interistituzionale, offrirebbe ulteriore libertà d’azione per le nostre attività e quelle delle nostre imprese, anche se con senso di responsabilità riteniamo che un ripensamento complessivo del corpo statale, come accennato sopra, sia d’obbligo per rimediare a questo genere di anomalie.Più in generale, ci auguriamo che qualunque sia la soluzione, essa venga adottata con criteri di pragmatismo, efficienza e concretezza e non sulla base di presupposti ideologici o di astratti vincoli numerici e territoriali che, per chi come noi è abituato a confrontarsi stabilmente con orizzonti internazionali sempre più globali, rappresentano solo le proiezioni anacronistiche di una visione del mondo povera quando non semplicemente dettata da canoni meramente propagandistici ed opportunistici.
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