Questi muri, queste sbarre e questi dolori

Oggi, mercoledì 3 novembre, il vescovo Maurizio è ospite della mensa dei carcerati, dopo averne ospitati alcuni alla mensa vescovile. Se la messa cattolica si fonda sul pane e sul vino e il Nazareno, prima di andarsene, convoca l’ultima cena, è perché il cibo non è solo un alimento ma può diventare un lusso da chiacchiere o un rito sobrio di amicizia. Intorno alla tavola, seduti, ci si guarda in faccia, ci si sfiora spalla a spalla, si respira nello stesso volume d’aria disponibile. Mangiare insieme è un momento di parola, non una colazione di lavoro, un rito che rinfranca e che dà sollievo. La tavola è il palcoscenico della speranza. Così, nel carcere di Lodi, il vescovo ed io, che sono il cappellano dei detenuti, stiamo alla mensa con loro, condividendo il cibo, con lo stesso suono delle posate… di plastica, con lo stesso masticare l’uguale pasto. Se è vero, come lo è, che i poveri sono i principi della chiesa e la sua ricchezza, questo pranzo è una cassaforte umana. Non sono presenti le autorità. Si tratta di un faccia a faccia fra i molti poveri carcerati, perché quasi sempre sono i poveri ad esserlo, e il pastore della nostra diocesi, insieme a me che con questi muri, queste sbarre e questi dolori da anni ho preso confidenza. È difficile immaginare incontro più religioso di questo, più nobile ed evangelico. Una pagina bella per la nostra chiesa lodigiana.

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