Questa riforma s’ha da fare e subito

«Tanto tuonò che piovve» disse Socrate dopo che sua moglie Santippe, accompagnando la scena con urla, schiamazzi e imprecazioni, gli rovesciò addosso dalla finestra un pitale pieno d’acqua. Pur con le dovute differenze la stessa cosa possiamo dire oggi a proposito del disegno di legge sulla Buona Scuola. Finalmente siamo al maxiemendamento e al voto di fiducia. Per un attimo ho avuto timore che i tremila emendamenti presentati al Senato dalle opposizioni potessero veramente spingere la Buona Scuola nella quintessenza delle parole inutili che come proposta hanno solo quella di decidere di non decidere. Si è pensato anche di riaprire il confronto mediante una specie di «Stati Generali» della scuola ai primi di luglio per poi procedere con i tempi della politica che, purtroppo, non coincidono con i tempi della scuola. Se fosse andata così che significato dare, allora, alla consultazione on-line avviata via web dal Ministero lo scorso settembre e che ha avuto quasi due milioni di contatti, stimolato numerosi dibattiti pubblici, prodotto numerosissimi documenti presentati anche dai diversi collegi docenti, e poi consultazioni con i sindacati, con le associazioni di categoria, trasmissioni televisive di approfondimento, pagine e pagine di quotidiani. Forse che tutto questo è da considerare inutile? Forse che tutto questo non può essere ritenuto sufficiente per ultimare un lavoro parlamentare già avviato e che ha già visto un ramo del Parlamento esprimersi con una votazione? Si dice che le parole servono a nascondere il pensiero mentre le critiche sono il sale della democrazia. Ma qui si è andati ben oltre le parole e ben oltre le critiche. C’è stato uno sciopero generale, in tante scuole sono stati bloccati gli scrutini, in qualche altra i docenti si sono incatenati e imbavagliati in segno di protesta, sono state organizzate fiaccolate, cortei con i docenti vestiti a lutto, occupate piazze, organizzati scioperi della fame. Ho la sensazione che da noi riformare la scuola sia un’opera ciclopica, peggio delle fatiche di Sisifo. Anzi la verità è che si vuole lasciare le cose come stanno perché c’è chi ha paura del cambio di rotta che la Buona Scuola innesca. Si ha paura di essere valutati; di venire allo scoperto per poi rischiare di essere additati come inconcludenti agli occhi di studenti e genitori; di affrontare l’evoluzione sociale che oggi richiede ben altro che un insegnamento cattedratico privo di confronto continuo e critico con gli allievi; di scoprirsi poco incisivi nell’esercizio della propria professionalità dopo essere stati sottoposti a item valutativi. E’ naturale che ogni processo riformatore porti con sé curiosità e timori, sete di crescere professionalmente e voglia di non girare pagina. E invece sono del tutto favorevole alla piega che ha preso il processo riformatore nelle ultime ore. Il premier va avanti con ricorso alla «fiducia» sul disegno di legge così come uscito dalla Camera, modificato in alcune parti con un maxiemendamento, per poi ritornare alla Camera per il passaggio finale. Un’accelerazione che condivido pienamente e che rende giustizia non solo al percorso dialettico fin qui condotto, ma anche agli scontri e alle iniziative messe in campo. Ogni percorso deve avere un suo tempo di maturazione e in questo caso nove mesi di discussioni sono stati più che sufficienti per portare a casa una riforma che a questo punto non è più procrastinabile. E’ vero. La questione è molto più complessa di quanto possa sembrare. La responsabilità è di chi governa, di chi ha sulle spalle le sorti di un Paese e nel nostro caso le sorti della scuola. Una scuola, la nostra, che negli ultimi anni ha fatto passi avanti e passi indietro, un po’ come fanno i gamberi, esponendola a numerosi rischi senza darle una struttura che la mettesse nelle condizioni di ritrovare il suo ruolo nella società profondamente cambiata. E come se salissimo su un’auto costruita per andare più veloce, ma con un motore di una vecchia cinquecento. Fuori di metafora non si può andare avanti così come siamo combinati, sapendo che nel frattempo sono profondamente cambiati i metodi di gestione delle risorse, la conoscenza dei mercati e dei flussi finanziari, l’approfondimento dei meccanismi di sistema nel campo di acquisizione di conoscenze e competenze. Come può la scuola prendersi il lusso di rimanere ancora impelagata nel «cerchio magico» delle lotte di potere, degli interminabili ed estenuanti dibattiti talvolta sterili e inconcludenti? Fa bene il Ministro Giannini a sottolineare che in ballo non ci sono solo le centomila e passa assunzioni dei precari, in ballo c’è tutto il sistema gestionale della nuova scuola ad esse collegate. La scuola, come dice Renzi, non può essere un «ammortizzatore sociale» con i suoi poco più di 628 mila docenti e con un discutibile rapporto, alquanto basso, tra alunni e docenti. Non può il duro confronto scaturito sui «super poteri» del preside essere preso a pretesto per stoppare il cammino verso i grandi cambiamenti; non è possibile frenare bruscamente la marcia di riforma della scuola per via delle valutazioni di docenti e presidi viste e sentite come metodi invadenti. Chi teme di essere valutato non vuole rendere conto del proprio operato a chicchessia. E invece è bene che si proceda e velocemente su questa strada. E’ bene procedere con la chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi visto che si deve giustamente garantire la qualità dell’insegnamento; con la valutazione di presidi e docenti nonché del processo di apprendimento dei propri alunni visto che siamo il fanalino di coda tra i sistemi scolastici europei; con la riforma degli organi collegiali visto che gli attuali sono sclerotizzati e ancorati a un sistema di scuola vecchio e superato da quarant’anni di vita sociale; con la collaborazione con le fondazioni per una necessaria apertura delle scuole al privato, visto che i genitori negli ultimi anni si sono assunti la responsabilità di tagliare i contributi scolastici richiesti, prodigandosi però nell’acquisto di costosi smartphone e iPad per i figli. Va bene tutto, ognuno è padrone in casa propria, ma va bene anche sperare che il cammino riformatore della Buona Scuola si chiuda il più rapidamente possibile.

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