Quell’invito a uscire nelle periferie

Parlare di missione al giorno d’oggi non è facile nemmeno per gli uomini di Chiesa. Ne ho sovente riscontro parlando con i confratelli. Un po’ perché in campo civile se ne danno mille definizioni differenti che creano non poca confusione (missione diplomatica, missione di pace e di guerra, missione di lavoro, la mission aziendale, l’indennità di missione, ecc...), ma anche - e soprattutto - perché credo si abbia paura di andare a scoperchiare e a confrontarsi con ciò che è sottinteso a tutti gli inviti di Papa Francesco sull’uscire missionario, l’andare nelle periferie, l’incontrare gli ultimi, ecc. Che non sia una manovra per portare i missionari al potere?!? Mi sembra che missione per noi oggi, Chiesa occidentale abituata ad essere saldamente autoreferenziale, debba essere una cosa molto semplice da dirsi, quanto difficile da realizzarsi: più Chiesa e meno occidentale. Questo, in tre direzioni: 1. Quando guardiamo a noi, Chiesa, non pensiamoci anzitutto come struttura, organizzazione, programmi, gerarchia, documenti, ma sappiamo vederci come persone e famiglie reali: papà e mamme che faticano a frequentare la chiesa e a “passare” i valori ai propri figli, adolescenti lasciati spesso soli con i loro problemi, anziani che vorrebbero spazi per sentirsi ancora utili, malati che non riescono più a pregare, preti che devono fare i padri e si scoprono incapaci di vivere da fratelli, politici e tecnici al bivio continuo con la propria coscienza, lavoratori che fanno i salti mortali per sbarcare il lunario, ex praticanti che non riescono a dimenticare un allontanamento subito ingiustamente, ecc. Per troppo tempo abbiamo messo la Chiesa-struttura davanti a tutto e a tutti. La struttura ha a poco a poco sostituito la gente. E’ tempo di accorgerci che Gesù vuole abitare in una Chiesa viva ed incontrare e farci incontrare persone.2. Ridiciamoci senza complessi che la vita in Cristo non è l’appartenere ad una casta privilegiata, ma l’esperienza entusiasmante di un innamorato fra tanti altri innamorati; ridimensioniamo la nostra bramosia di essere “maggioranza”, avendo il coraggio di dimenticarci per un po’ dei numeri (che tra l’altro ci sono nettamente sfavorevoli); per la crescita cristiana delle piccole e grandi generazioni facciamo proposte a misura d’uomo: lettura del Vangelo, gesti concreti di carità, piccoli gruppi di fede, che facciano rinascere la voglia di discutere della propria vita cristiana, di mettersi in gioco, di porre domande e di cercare insieme risposte non convenzionali; diamo più responsabilità ai laici, proponendo ministeri e funzioni che mettano in luce carismi e doni di ciascuno per il bene di tutti.3. Non abbiamo vergogna di copiare il bene degli altri; non chiudiamoci nel piccolo guscio della mentalità, della cultura, dell’esperienza, della tradizione di chi è come noi, di chi la pensa come noi, ma allarghiamo la nostra mente e il nostro cuore ai confini del mondo: la Chiesa è dappertutto, il resto del mondo che non siamo noi non deve essere solo una mal tollerata aggiunta. “Questa Chiesa non è un monolito che accetta con qualche fatica alcune differenze culturali, preoccupata soprattutto di controllarle; è una sinfonia di popoli diversi in cui il Vangelo lavora, trasforma, si riesprime” (Padre Franco Cagnasso).In questo, sì, i missionari, lungi dal voler prendere il potere, hanno un grande compito: suggerirci che il nostro modo di vivere la fede non è il solo, che forse non è nemmeno il più consono con i tempi che viviamo, che i valori portati dalle nostre tradizioni, ormai traballanti, possono essere sostenuti ed aiutati da valori nati in altre tradizioni e culture e già annaffiati dalla presenza dello Spirito Santo, benché spesso non ancora toccati dall’annuncio esplicito del Vangelo. Vivere la missione, occuparsi della “periferia” non è quindi solo il mettere al centro il povero e il piccolo (e già questo…), ma anche aiutarci a scendere dal piedistallo religioso su cui crediamo di poter stare per l’eternità, per farci incontrare il Signore, che ormai a stento sappiamo riconoscere, anche nella fede e nella cultura del fratello. Auguri, Chiesa di Lodi!

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