Quella violenza che dilaga nelle nostre case

È significativo che l’inizio dell’anno è stato caratterizzato da due richiami sulla diffusione della violenza. Nel discorso di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha evidenziato il pericolo che corre la convivenza civile, quando l’odio è utilizzato come strumento di lotta politica. Papa Francesco ha dedicato, invece, il suo messaggio per la cinquantesima Giornata mondiale per la pace allo stile della nonviolenza. Si può cogliere una continuità nei due interventi.

Le due figure istituzionali che raccolgono un riconoscimento esteso nella popolazione segnalano un pericolo che sottotraccia attraversa la nostra società. C’è un sottile clima di diffidenza reciproca che attraversa i legami e porta alla costruzione di muri e di barricate. Siamo facilmente condotti a considerare l’altro, sia uno che la pensa in modo diverso sia uno che viene da una cultura differente, un potenziale nemico.

Su questa paura si instillano i primi germi della violenza, che successivamente vengono alimentati dai linguaggi che cercano consenso giocando con la rabbia che alimenta un odio verso l’altro generalizzato.

Dentro questo processo astratto si radicano i discorsi realistici di quelli che spiegano come rispondere alla violenza con la violenza sia la soluzione maggiore, di quelli che chiedono di applicare la legge del taglione ad ogni situazione concreta. Sembra che non ci si renda conto come questa logica applicata alla quotidianità non aiuti a costruire relazioni di fiducia e contamini le opportunità di gioire per una vita buona.

Come ha ben evidenziato il presidente della Repubblica: “Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza”. Questo è il vero pericolo che minaccia la nostra società. E sembra che non ce ne rendiamo conto, perché siamo assuefatti ai discorsi realistici che professano una fede nella violenza.

Praticare lo stile della nonviolenza, invece, suona alle nostre orecchie come un’utopia, un’idea irrealizzabile che raccontano dei sognatori, senza alcuna capacità di incidere nella realtà sociale. Non ci accorgiamo invece del potenziale trasformativo. Dentro le nostre aspirazioni possiamo trovare la forza per innestare i cambiamenti. Le utopie non solo soltanto non-luoghi, sono anche visioni che raccontano un futuro possibile.

La linea di demarcazione per scegliere tra uno stile di violenza e uno di nonviolenza si traccia sulla considerazione dell’altro: se ce lo rappresentiamo astratto e immaginario o in carne e ossa. Il Papa nel suo messaggio prova a indicarlo ricordando alcuni personaggi: Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Santa Teresa di Calcutta, Leymah Gbowee.

Sono persone che hanno raccontato utopie concrete avviando processi reali di convivenza. Papa Francesco spiega che “la nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e non violenta, così che le tensioni degli opposti possano raggiungere una pluriforme unità che genera vita nuova”.

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