Quel pane “svizzero” che ha sette croste

“Lavoravo per un’impresa di Ascona in un cantiere per la costruzione di un supermercato; pioveva che Dio la mandava. Arriva un camion a portarci del materiale. L’autista scende, mi guarda e dice: ‘Non avete pane a casa vostra?’. Non era uno svizzero, era un italiano fatto svizzero. Sono i peggiori”. È Renato Giacomini, muratore di Verbania, che parla, in una delle tante testimonianze raccolte dal giornalista Guido Costa, esperto di questioni sociali e del lavoro. Per conto della Cisl e di Ocst (Organizzazione cristiano-sociale ticinese) ha curato un’ampia indagine sul frontalierato italiano verso la Confederazione elvetica nell’ultimo mezzo secolo fino ai nostri giorni. Attualmente su 350mila abitanti in Ticino, i frontalieri italiani sono oltre 60mila, ovvero un quarto del totale dei lavoratori.Il cantone italofono – cresciuto anche grazie a braccia e cervelli tricolori – è un grande datore di lavoro per le province di confine: Varese, Como, Verbano-Cusio-Ossola e, in misura minore, Lecco e Sondrio. Ma i problemi non mancano: soprattutto la crisi del 2008 ha fatto balenare il rischio-disoccupazione anche in Ticino e ha alimentato il successo politico, venato di populismo e xenofobia, della Lega dei ticinesi e del partito di destra Udc (Unione democratica di centro), al grido di “Prima i nostri”. Tra referendum, elezioni e nuove leggi, revisioni degli accordi bilaterali sui “ristorni” e imposizioni fiscali, la Svizzera tende a mettere un freno all’immigrazione e anche ai lavoratori che, giornalmente, ne attraversano il confine dai Paesi vicini per lavorare (in tutto sono 700mila i frontalieri in entrata e poche migliaia quelli in uscita). Questi ultimi devono misurarsi con i luoghi comuni che ne fanno ora dei “privilegiati” e in altri casi dei capri espiatori, accusati di accettare salari inferiori con la conseguenza (tutta da dimostrare) di tenere ancorato il livello generale degli stipendi.Una visione ampia del fenomeno dei frontalieri – ossia le persone che si spostano quotidianamente dal luogo di residenza al luogo di lavoro situato in un Paese confinante – si trova nel volume intitolato appunto “Non avete pane a casa vostra?”, curato dallo stesso Guido Costa (edizioni Bibliolavoro). Il quale osserva: “La storia del frontalierato sembra essere sempre in salita” considerate le difficoltà che sorgono dagli accordi tra Berna e Roma, l’influenza del ciclo economico, le trasformazioni sociali e culturali intervenute, dal dopoguerra in avanti, nella stessa Confederazione. Questo chiama in causa le dinamiche identitarie (elemento costitutivo della nazione svizzera) e quelle relative al concetto di “frontiera”, analizzate a fondo in un denso saggio firmato da Aldo Carera, docente di Storia economica all’Università Cattolica di Milano.

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