Quei migranti che minacciano l’avvenire...

Volontarietà oppure obbligatorietà delle quote dei migranti? La domanda non è affatto oziosa, in questo periodo dell’estate che inizia, con sciami di ragazzi a correre per le strade, la scuola è finita! Il nostro Governo, insieme a quello di altri Stati che la geografia ha voluto più o meno vicini, non sa come comportarsi. Da un lato un dovere umanitario, ancora abbastanza diffuso tra la popolazione, dall’altro la stanchezza palpabile per i continui afflussi di gente sconosciuta, dalla pelle così diversa dalla nostra e che non si capisce, in fondo, perché si intromette in territori che nulla hanno in comune con quelli da cui arrivano, alla spicciolata o in massa, inesorabili come le tasse, le malattie, insomma le disgrazie ordinarie. In realtà si capisce bene perché arrivano con veemenza, in molti casi, occupando occupando le città come fossero i nuovi ‘padroni’. E forse è così davvero, sono proprio loro i nuovi padroni? Arrivano, dunque, per motivi economici e politici, appare evidente dalle loro dichiarazioni: vogliono le risorse, il lavoro, magari crearsi anche una famiglia, metter su casa, senza preoccuparsi del nostro diritto, di chi ha faticato generazioni per conquistare quel poco o tanto che abbiamo.A mio parere è intollerabile, non lo dico solo io. Sento i vicini di casa, ne ascolto i discorsi al mercato tra le donne che comprano frutta e verdura e vedo sul loro viso la fatica di portare a casa una sporta piena senza spendere troppo. Anche nei locali certi discorsi fanno presa: sono invasori, nient’altro, pronti ad arraffare tutto quanto se li si lascia agire indisturbati. ‘Mettiamo un argine, anzi un muro, con la polizia a controllarlo!’ si agita un anziano, forse un po’ tradizionalista….’Si ma quale ingresso? gli replica un altro. Il nostro confine è vasto, non ha senso alzare barriere, non ce la faremmo a frenare gli arrivi’. Allo stato attuale delle informazioni non esistono accordi firmati con gli Stati vicini, né un governante che esprima un’idea saggia per gestire la baraonda quasi improvvisa che si è abbattuta negli ultimi anni. Rimane un po’ di nostalgia, a farci compagnia nei mercati, per le strade, nelle case. Ricordare, cioè, come stavamo tutto sommato meglio, al di là delle nostre crisi periodiche, quando ancora l’Africa non era terra di conquista per questi europei che hanno deciso di invaderla. Francesi, inglesi, belgi, tedeschi, portoghesi, italiani… la massa bianca dalle lingue incomprensibili che sta arrivando in questi anni porta qui violenza e sfruttamento, checché ne dicano alcuni nostri compatrioti illusi dalle possibilità di integrarsi. Qui in Gambia, come in Mali, in Niger, in Togo, in Etiopia, in Somalia, in Congo - ma i bene informati dicono che si spingono anche oltre il mar Rosso - le nostre buone tradizioni ora vengono cancellate dagli sbarchi di questa gente. Arrivano e scavano, estraggono, costruiscono per sé, lasciando a noi solo terra bruciata, più di quanto non lo sia già. Tirano persino righe sulle mappe geografiche, inventano confini mai esistiti, dividono dove prima era unito. Non hanno desiderio di integrazione, ma solo sete di guadagno e di potere. Dovremmo forse allestire dei centri di accoglienza e prendere le impronte? Dovremmo rispedirli al mittente? C’è dibattito in giro: come fare? C’è molta incertezza. Qualcuno sostiene che finché non avremo un’Unione Africana unita, con moneta e governo unico, non saremo in grado di rispondere alle sfide della modernità. Quel che è certo è che l’inizio del nuovo secolo, il ventesimo, non fa presagire nulla di buono per noi africani, perché dall’Europa i migranti minacciano seriamente il nostro avvenire.

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