Quando la violenza fa rumore

Quanti erano i manifestanti che da tutta Italia sabato sono confluiti a Roma per la manifestazione degli “indignati”? E quanti erano i delinquenti che hanno messo a ferro e fuoco alcuni quartieri della capitale? Pochissimi, per fortuna, questi ultimi. Molti, molti di più i primi. Che però, nelle cronache mediatiche del dopo, sono stati quasi oscurati dalle imprese negative di distruzione e violenza.

È sempre così: fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. In questo caso, poche decine – centinaia al massimo – di deficienti hanno fatto parlare di loro incendiando automobili, infrangendo vetrine e scontrandosi con le forze dell’ordine, mentre decine di migliaia di giovani (ma anche moltissimi adulti e anziani) cercavano d’isolarli per far sì che la loro presenza non turbasse il clima del lungo corteo.

Nelle intenzioni degli organizzatori e dei partecipanti doveva essere una manifestazione pacifica e colorata; è diventata un evento violento e sporco di nero: il nero del fumo di lacrimogeni e delle auto incendiate, della tenuta tipica dei black bloc, un nero che è diventato anche il colore della cronaca della giornata.

Lo stridore fra intenzioni della vigilia ed effetti sul campo è stato alimentato dal contrasto tra la manifestazione di Roma e quelle che si sono svolte contemporaneamente in altre 950 città di 82 Paesi del mondo. In nessun altro luogo è successo quello che si è verificato nelle strade della capitale d’Italia. E così la notizia non è più stata quella del corteo, ma quella delle distruzioni, delle devastazioni e delle azioni violente.

I delinquenti hanno ottenuto il loro scopo, facendo parlare di sé e delle loro pessime gesta ancora a manifestazione in corso. La diretta Rai e gli aggiornamenti delle testate online hanno documentato il crescendo di violenza minuto per minuto e le edizioni dei telegiornali di sabato sera hanno metaforicamente raccolto i cocci lasciati per strada durante il pomeriggio.

Rai 3, per esempio, ha sospeso la messa in onda di “Superquark” per realizzare uno speciale di oltre due ore in prima serata dedicato proprio alle imprese dei delinquenti. Le finestre televisive sulla manifestazione sono state progressivamente occupate dalle cronache degli episodi negativi, che hanno tolto spazio alle ragioni dei manifestanti che si erano organizzati da tempo in maniera assolutamente pacifica.

Alcune immagini sono presto diventate il simbolo della giornata, prime fra tutte quelle del blindato dei Carabinieri in fiamme, delle vetrine di una banca spaccate, del lancio di sassi contro i mezzi della Polizia. Una fotografia, più di altre, spiega quello che è successo, raffigurando il “quadrato” in stile militare dei black bloc schierati dietro uno striscione che recita “Non chiediamo il futuro, ci prendiamo il presente” e isolati dal resto del corteo, che assiste inerme da lontano; e la distanza non è quella della paura, ma quella della diffidenza e della condanna per un manipolo di sciamannati intenzionati a rovinare la festa di protesta dei più.

I sociologi discuteranno, come già hanno fatto in altre occasioni, del perché di tanta violenza inutile e gratuita, di come ogni pretesto sia buono per sfogare la rabbia in qualunque maniera, del fatto che – secondo i più “aperti” – bisogna dare ascolto a tutti, anche a chi esagera. I politici hanno già cominciato a rimpallarsi le responsabilità per il troppo lassismo, il fiancheggiamento dei provocatori, la sottovalutazione dei rischi, le strumentalizzazioni di vario segno.

Le risposte più genuine vengono dal web, che catalizza commenti sdegnati e furibondi contro i giovani in nero: “Siete solo dei vigliacchi, che rubate il futuro di chi vuole costruirlo”. “Avete distrutto il movimento no global, l’onda e ora gli indignati. Quando è che ci farete il favore di sparire per sempre?”. “Complimenti vivissimi, finalmente vi siete mostrati per quello che siete, degli autentici, genuini, ineguagliabili, straordinari imbecilli”. Un leit motiv forse un po’ crudo, ma certamente condivisibile.

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