Quando manca l’amore per lo studio

Il nuovo anno inizia sempre con un grosso impegno per tantissimi ragazzi chiamati a sostenere gli esami di riparazione. Che si chiami debito o recupero, che si chiami giudizio sospeso o rinvio di valutazione, la chiarezza nazionalpopolare impone di dare il nome che storicamente è dovuto a questa operazione. E allora forse è più corretto parlare di ragazzi rimandati con esami da recuperare su materie valutate insufficienti nello scrutinio di giugno. Credo che questo sarebbe di per sé già sufficiente a far capire a ragazzi e genitori che la faccenda è più seria di quanto possa apparire. L’estate, per questi ragazzi, checché se ne dica, è fatta di un surplus di lavoro dalle origini ben chiare: scarso impegno nello studio durante l’anno scolastico. Una preparazione che vuole un esame di verifica, una valutazione, un voto e che può comportare anche un insuccesso se l’impegno richiesto non viene sostenuto. Non è quindi solo questione di onorare un debito, ma è anche e soprattutto una questione di porre rimedio a una situazione che lo studente si è creato da solo. Ma un debito è sempre un debito e come tale va onorato. Ce lo chiede l’etica comportamentale, come la testimonianza di uomini che la cultura ha reso immortali. «Ricordati, o Critone (ricordava Socrate al suo fedele amico), che siamo debitori di un gallo ad Asclepio. Restituisciglielo per mio conto, non te ne dimenticare». Disarmante la preoccupazione del filosofo che in punto di morte pensa al debito contratto con Asclepio, dio della medicina. Che poi in fin dei conti si trattava di un pollo. Ma lui voleva onorare il debito e per questo il pollo andava restituito. Una lezione per tutti. Forse che un debito di studio vale meno di un pollo? Può essere. I tempi sono profondamente diversi. Anche i polli non sono gli stessi. E se ai tempi di Socrate il sapere era oggetto di desiderio, se i giovani facevano a gara per frequentare le lezioni del tal maestro o per essere accettati nella tal scuola, oggi, invece, l’esercizio della conoscenza è sentito più che altro come un obbligo da assolvere forzatamente, è sentita come un’imposizione mal digerita, come un fardello da sopportare e per questo possibilmente da evitare. Non c’è più desiderio di conoscenza, di studio. In fin dei conti è qui il vero problema. Manca l’amore per lo studio. E’ facile per me dimostrarlo. Spesso mi trovo davanti genitori disperati per la scarsa voglia di studiare che dimostrano i propri pargoletti. Mi chiedono consigli su cosa fare per raddrizzare una situazione di per sé, talvolta, già compromessa. Mi parlano di divieti imposti, di privazioni prescritte, di punizioni comminate. Ed ecco il compromesso. Meglio essere rimandati che bocciati. Del resto quest’anno sono quasi 650 mila in queste condizioni. Un esercito. Ci si accontenta di una o più materie da recuperare. Ancora sacrifici. Lezioni private, vacanze dimezzate, discussioni portate a muso duro pur di convincere il giovanotto che lo studio è una cosa seria, è un investimento per il proprio futuro e come tale non va mai sottovalutato. Occorre organizzarsi bene e dare il meglio di se stessi. Non si possono dedicare al recupero solo alcuni giorni prima degli esami. Non si può pretendere così di dimostrare di aver studiato con serietà e impegno. E’ pur vero che la fortuna, talvolta, gioca un ruolo determinante fino a preservare il giovanotto dagli esiti disastrosi. Ma non sempre la sorte è presente. Né va bene affidarsi alla “speriamo che me la cavo”. Qui il problema è che i ragazzi hanno poca voglia di studiare. E quella poca voglia è per giunta accompagnata dalla scarsa convinzione che si ha dell’importanza dello studio. Non si possono affrontare interrogazioni o esami di riparazione con una semplice e veloce lettura di alcune pagine di libro fatta due o tre giorni prima. Né è corretto affidare una seria preparazione a pochi appunti raccolti qua e là da compiacenti amici di cordata. Troppo poco. E’ troppo poco il tempo che si dedica alla preparazione; troppo pochi i contenuti approfonditi; troppo poco il controllo esercitato da parte dei genitori che talvolta sorridono per le furbate dei figli. Non che la scuola debba essere frequentata da soli geni. Anzi. La miglior scuola è quella frequentata da normalissimi studenti che sanno cosa fare, sanno come gestire il tempo, come evitare gli insuccessi. E’ sufficiente, per questo, studiare costantemente, seriamente, dedicando il giusto tempo agli appunti raccolti durante le lezioni senza tuttavia privarsi del tempo libero che fa parte del vivere quotidiano. Non ci sono formule segrete, se schemi tattici, né tanto meno pozioni salvifiche. Si tratta semplicemente di prestare attenzione alle lezioni, tesaurizzare le informazioni ricevute e utilizzarle nello studio individuale a casa. E’ chiaro che tutto questo costa in termini di sacrifici, di rinunce, ma chi mai ha detto che il lavoro si svolge senza alcuna fatica. Studiare è pur sempre un lavoro. Quindi come tale bisogna organizzarsi. Tornati a casa invece di attaccarsi al computer per delle ore e continuare a chattare con il gruppo di amici, invece di uscire ancor prima di aver aperto almeno il diario per rendersi conto delle lezioni del giorno dopo, invece di fregarsene di tutto e di tutti, sarebbe “cosa buona e giusta” dedicare almeno due ore al proprio lavoro. Cioè studiare. Che poi vuol dire aprire il libro, leggere le pagine interessate, sottolineare, approfondire, fare gli esercizi assegnati, ricercare ulteriori informazioni su internet. Una preparazione tutto tondo che non mancherà di dare buoni risultati. Un insegnante sa quando dietro c’è questo tipo di lavoro. Sa che questo tipo di lavoro merita di essere valorizzato. E invece? Invece a fine anno scopriamo libri ancora avvolti nel cellofan, libri mai aperti che sarebbe peccato persino rivenderli al banco dell’usato visto che non sono stati nemmeno toccati. Libri che profumano di verginità culturale. Risultato: un anno buttato via. Anche questa per tanti ragazzi è un’esperienza. Amara, ma forse necessaria. Può consolare quanto affermato da Seneca: «Nulla mi sembra più infelice di un uomo a cui non è accaduta mai nessuna avversità».

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