Quando l’equità è tradita

Riconosciamo al Governo Monti il merito di avere immediatamente riportato elementi di rigore e serietà istituzionale. Allo stesso modo sono indiscutibili le alte professionalità e le specifiche competenze dei suoi Ministri. Di fronte alle misure contenute nella manovra chiamata “salvaItalia”, con rispetto ma ferma convinzione, esprimo però profondissima disapprovazione. Essendo sindacalista sottolineo particolarmente alcune scelte che riguardano il lavoro, ma che indubitabilmente si ripercuotono sul futuro del nostro sistema Paese. Potrei parlare della mancata rivalutazione delle pensioni rispetto all’aumento del costo della vita. Una norma per me troppo rigida, che esula dal concetto di reddito familiare. Perchè può essere accettabile non rivalutare una pensione di 1.100 euro in un nucleo familiare che può contare su altri redditi, altra cosa è la mancata rivalutazione sulla stessa pensione che è il solo reddito presente. L’equità, sempre richiamata, in realtà non è presente in troppe altre norme della manovra governativa. Mi riferisco innanzitutto al provvedimento sulle pensioni di anzianità. Non è inaccettabile proporre quarantadue anni di contribuzione prima di accedere alla pensione: è invece davvero insopportabile l’applicazione dei disincentivi se manca il requisito dei 66 anni di età!!

Come è possibile considerare equo che una persona versi quarantadue o quarantatre anni di contribuzione, che non si ritengano conteggiabili e quindi inutili ai fini pensionistici i versamenti contributivi oltre i quaranta anni (quindi una regalia enorme all’Inps!) ed inoltre introdurre penalizzazioni sul conteggio mensile della pensione nell’ordine del tre per cento annuo per ogni anno di età mancante ai sessantasei?? Siamo davvero alla fiera dell’assurdo! Una persona di 64 anni potrebbe averne lavorato in regola 45 e vedersi ridotta la pensione del 6%!!

Al contrario, una persona che raggiunge i sessantasei anni di età nei quali ha versato contribuzione previdenziale per 38 anni, avrà nessuna penalizzazione e percepirà una pensione più elevata di chi invece ha versato cinque anni di contribuzione più di lui!

Io sostengo che a chi raggiunge i quarantatre anni di contribuzione, va semplicemente e giustamente erogata la pensione, senza nessunissima penalizzazione! Non vi è altra alternativa.

Ma voglio aggiungere una ulteriore considerazione. Obbligare di fatto tutte le persone a

raggiungere il requisito pensionistico ai 66 anni di età, senza scalette intermedie, significa assestare un nuovo durissimo colpo alla disoccupazione giovanile. In un periodo di crisi economica che certamente non conoscerà fine per i prossimi tre anni, nell’attuale panorama di ripresa occupazionale pari a zero, porre requisiti rigidi ed allungamenti lunghissimi per l’accesso alla pensione, significa mutilare del tutto le già enormemente esigue speranze di lavoro per i nostri ragazzi.

Ci saremmo invece aspettati misure sull’occupazione che prevedessero una sorta di scambio generazionale: i giovani che entrano nel mercato del lavoro con contratto part time per i primi tre anni ed i lavoratori prossimi alla pensione che lavorano gli ultimi tre anni sempre a tempo parziale. Naturalmente sarebbero servite normative di copertura previdenziale, ma davvero questa è oggi l’unica facilitazione immediata all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, che sommerebbe una uscita attenuata per chi ha lavorato una vita.

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