Quando gli insegnanti sono incapaci

«Politici e sindacalisti hanno rovinato tutto, riempiendo la scuola e l’università di incapaci». E’ l’amaro sfogo che conclude la lettera di uno dei tanti insegnanti andati recentemente in pensione, al secolo tal Vittorio Pattarini, con un messaggio lasciato la scorsa settimana sulle pagine di “ItaliaOggi”. Un messaggio che trova fondamento nel ricordo nostalgico di una scuola diversa, una scuola da qualcuno definita d’altri tempi. Una scuola dove i genitori agli incontri con gli insegnanti mostravano attenzione, disponibilità all’ascolto, ad accogliere consigli e tanto buon senso. Una scuola dove i rapporti tra docenti e alunni trovavano, nel rispetto verso l’insegnante, la strada maestra per crescere e formarsi come uomini e donne. Una scuola dove lo stesso ambiente lasciava presagire l’esistenza di un clima sereno, partecipativo, accogliente, carico di aspettative. Ma quella scuola ora non c’è più. La scuola oggi è cambiata tantissimo. È inutile aggrapparsi alla nostalgia di una scuola che appartiene al passato, meglio sarebbe se cominciassimo a ragionare su come recuperare i rapporti tra genitori e docenti indiscutibilmente compromessi da una cultura che nulla ha fatto per evitare che ciò si affermasse. Non nascondiamoci dietro un dito. I rapporti siano essi tra docenti e allievi, tra genitori e insegnanti, ma anche tra genitori e figli, si sono incrinati a tal punto da essere messo in discussione persino il riconoscimento sociale della funzione educativa propria di ciascuno. Viviamo oggi una fase di difficile convivenza tra scuola e famiglia, sostenuta e sorretta da una serie di variabili sociologiche che con l’educazione ha poco o nulla a che vedere. Si rende più che mai necessario richiamare il valore etico e sociale del riconoscimento dei ruoli. Prioritario diventa lavorare per affermare una nuova cultura della condivisione e restituire dignità a un docente oggi contestato, discusso e spesso deriso. D’accordo. Sarebbe sicuramente anacronistico ripensare all’insegnante come ad uno dei principali riferimenti in campo sociale accanto alle figure del sindaco, del parroco, del maresciallo e del farmacista. Roba d’altri tempi. Ma è altrettanto anacronistico vivere e alimentare con atti e gesti questa cultura di demolizione civica di una figura tanto importante quanto necessaria come quella dell’insegnante che per vocazione è chiamato a lasciare un segno. È pur vero che tanti docenti lasciano sì un segno, ma in negativo al punto da indurre chiunque a ricercare l’origine delle responsabilità, a ricercare la paternità della condizione di dover rendere conto dei propri atti, delle proprie determinazioni in cui si ha un ruolo determinante. A questo punto una domanda è lecita. Possibile che i politici e i sindacalisti hanno contribuito in modo rilevante a rovinare la scuola così come afferma il prof. Pattarini? Provo a dare una spiegazione. Forse è bene ricordare che ci sono stati degli anni in cui nella scuola si entrava soprattutto per «ope legis», ovvero per disposizione di legge, quindi senza concorso, senza pre-selezione, senza un minimo di verifica di padronanza pedagogica, culturale o anche professionale. Sono stati anni in cui la scuola, grazie a una forte spinta sociale, sostenuta in questo da un solido fronte sindacale, ha visto raddoppiare il corpo docente senza che nessuno si ponesse il problema verso quali conseguenze una simile politica potesse portare. Sono gli anni della contestazione studentesca, dei grandi cortei metropolitani tronfi della classe operaia che andava sempre più in paradiso. Lama, Carniti e Benvenuto erano i principali interpreti di quel preoccupante clima sociale che pure rappresentava, almeno per la scuola, l’occasione per rivedere non solo i rapporti tra studenti e docenti, ma anche per scoprire quella specifica cultura dell’altro in chiave, a quell’epoca, “estremistica”. Eppure in questo contesto vedono la luce alcune leggi dai tratti alquanto significativi sia dal punto di vista didattico che dal punto di vista educativo. Sono abrogate, infatti, le «classi speciali» ovvero le classi dove venivano relegati i ragazzi con problemi di apprendimento; si affermano le LAC (Libere Attività Complementari), una sorta di laboratorio pomeridiano permanente dove i ragazzi trovano la possibilità di realizzare diverse opportunità formative a compendio della didattica tradizionale estremamente cattedratica; viene attivato lo Studio Sussidiario pomeridiano visto come una concreta risposta da dare ai ragazzi che necessitano di assistenza nello studio. Come si può notare siamo di fronte ai primi tentativi di abbattere in modo significativo il fenomeno della dispersione scolastica. Seguiranno nel breve tempo le classi con il Tempo Prolungato nelle scuole medie e il Tempo Pieno con i Moduli alle Elementari introdotti, questi ultimi, nel 1990 dall’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella allora Ministro della Pubblica Istruzione. Il dato occupazionale, nel comparto scuola, tocca l’apice. Senza ombra di dubbio sono iniziative legislative che hanno contribuito a dare qualità e lustro all’azione didattica. Ma poi qualcosa è andato storto. Il massiccio inserimento nei ranghi scolastici di molti insegnanti non sempre ha dato risultati che ci si aspettava. La politica dell’«Oves et boves, columbas et numiliaros» (Pecore e buoi, colombe e trafficoni) ha finito col compromettere anche quel dato buono che ha fatto sempre fatica ad affermarsi. Qualcosa del genere possiamo registrare oggi nella scuola. Si fanno sempre più insistenti le voci di un massiccio inserimento in ruolo di insegnanti con la benedizione dei sindacati. I numeri stratosferici cambiano di giorno in giorno, ma non cambia la sostanza. Per certi versi si ripropone il problema della qualità che può essere compromessa dalla pur gradita quantità. È possibile che la scuola possa essere rovinata da questa politica che agisce senza alcuna verifica? È possibile che tra le centinaia di migliaia di docenti che saranno prossimamente coinvolti in questa massiccia operazione di immissione in ruolo ci possano essere degli incapaci? Personalmente condivido le preoccupazioni del prof. Pattarini. In questa massa di futuri insegnanti (si parla di 180 mila persone) prossima a beneficiare dell’Ope legis può di fatto nascondersi anche qualche professionalità culturalmente misurata, pedagogicamente limitata, fondamentalmente problematica. Esattamente ciò di cui la scuola non ha bisogno, ma evidentemente loro hanno bisogno della scuola. Eppure quella dell’insegnante, per Vittorio Lodolo D’oria, medico esperto in stress da lavoro, è la «categoria professionale maggiormente esposta a patologie psichiatriche». Aiuto!

© RIPRODUZIONE RISERVATA