Quando la debolezza si fa tragedia

Due i fatti di cronaca accaduti negli ultimi giorni che hanno avuto come protagonisti adolescenti tanto geograficamente distanti l’uno dall’altro, quanto tragicamente uniti da un atroce destino. Ragazzi probabilmente spenti nella voglia di vivere, delusi da una realtà sentita come avversa, come ostacolo ai loro desideri, ai loro sogni, ai loro progetti. Una realtà fatta di adulti forse ritenuti non più all’altezza di una sensibile comunicazione, lontani da una sintonia d’amore resa pesante da regole e paletti non più giustificati poiché in contrasto con un mondo, il loro, che gira al contrario. A Catania un ragazzo di 13 anni dopo essere stato rimproverato dalla mamma perché sorpreso a fumare in casa, si è suicidato gettandosi dal balcone. A Moncalieri un ragazzo di 14 anni dopo aver preso un 4 in Matematica si è suicidato gettandosi sotto il treno. Due adolescenti che non avevano mai fatto presagire nulla di tragico, ma che anzi sono ricordati come ragazzi solari, studiosi, pieni di vita. Eppure qualcosa ha finito col mettere in luce la loro debolezza, il loro disagio esistenziale ben nascosto agli occhi di quanti erano loro vicini. Anzi. La cronaca ci racconta di genitori premurosi, sempre attenti ai bisogni e ai valori da inculcare, previdenti e solidali, emotivamente vicini. Si parla di rimproveri fatti senza alcun legame all’umore, fatti, invece, con attenzione, con amore e preoccupazione, quanto basta per non rovinare l’autostima. Ma evidentemente qualcosa non è andato per il verso giusto. I rimproveri diventano insopportabili, si presentano come voragini che inghiottono ogni tentativo di comprensione, d’altro canto i voti bassi più che insuccessi vengono percepiti come sinistre occasioni di fallimento, insopportabili da vivere, da capire, da gestire. Una delle spiegazioni potrebbe essere dettata dal fatto che gli adolescenti rifiutano qualsiasi osservazione che pure viene loro rivolta in funzione della loro crescita, intesa come una necessaria condizione per una costruttiva affermazione nella vita. Ma gli adulti spesso non fanno i conti con un mondo interiore difficile da capire, da interpretare, fatalmente esposto a critiche senza risposte, senza alcuna reazione. Anzi, il silenzio affidato a strane occhiate nonché la rinuncia ad aprirsi al dialogo, sono spesso le risposte date agli adulti ignari delle difficoltà comunicative che si vanno rinforzando. Emerge un rifiuto netto da parte dell’adolescente nel non accettare l’aiuto, nel non accogliere i suggerimenti, nel non voler riflettere sui consigli, sui necessari inviti a rivedere le proprie azioni, le proprie convinzioni, le proprie certezze. I ragazzi rifiutano perché si sentono portatori di certezze. Nessuno deve avere la convinzione di modificare i loro valori, i loro disegni, la loro impostazione di vita. Ma allora tutto ricade sugli adolescenti? Direi proprio di no. Se di disagio dobbiamo parlare forse vale la pena non trascurare quel particolare disagio che vivono gli adulti. I genitori e soprattutto gli insegnanti che a volte si ritengono onniscienti o quantomeno in grado di gestire qualsiasi situazione senza considerare i termini della comunicazione che diventa, soprattutto con i ragazzi, una questione determinante per offrire una chance, una via d’uscita, un incoraggiamento. Oggi conosciamo molto bene i bambini, siamo in grado di leggere il loro mondo, il loro linguaggio fatto soprattutto di giochi, di gesti, di espressioni, non altrettanto possiamo dire del mondo degli adolescenti. Una realtà, quest’ultima, sicuramente più complicata tanto da trovarci in seria difficoltà quando siamo chiamati a interpretare i loro gesti, le loro opinioni. Se non è difficile entrare in una situazione di contrasto, difficile è, invece, entrare nella profondità del loro animo, nel loro mondo interiore. Un mondo fatto di contraddizioni che deve fare i conti con le contraddizioni degli adulti. Impresa difficile, ardua, impari. Oltretutto gli adulti hanno dalla loro parte il torto di provare difficoltà nel comunicare con i ragazzi, nell’aiutarli a ritrovare quell’equilibrio lasciato oramai alle spalle. Adulti spesso in difficoltà nel fermare le cadute a cui spesso sono soggetti i ragazzi. Scuola e famiglia che rappresentavano luoghi sicuri, protettivi, col tempo, con la crescita, non solo fisica, sono diventati ambienti ostili, fortemente critici, non più in grado di offrire occasioni di equilibrio. Tale percezione spinge l’adolescente a cercare compagnie, a cercare un ambiente che vada oltre la scuola e la famiglia, che vada oltre l’occasione di rottura per ritrovarsi in un nuovo equilibrio sociale, relazionale, a lui più consono e meno contraddittorio. E’ l’ennesimo periodo critico che si affaccia alla soglia dell’adolescenza. Un periodo in cui gli adolescenti si credono adulti, ma non lo sono anche se non sono più bambini. Ma allora che sono? Proviamo ad affidarci a Jean Jacques Rousseau, filosofo e pedagogista svizzero, che a tal proposito diceva: «la caratteristica dell’adolescente è quella di non avere caratteristiche». E già. Una situazione che rende inquietante l’identità stessa del ragazzo fino a proporsi con tutta la sua ribellione, il suo tormento, la sua indefinibilità a un mondo adulto talvolta impreparato a leggere questa sua tempestosa proposizione. E’ proprio questo il periodo più delicato. L’esistenza stessa si fa difficile, un fardello pesante e insopportabile fino a pensare di farla finita. La debolezza si fa strada. Quanti adulti oggi ricordano di essere stati conquistati da adolescenti dalla voglia di farla finita? Con l’adolescenza una stagione complessa si affaccia alla vita. Un periodo in cui ribellarsi agli adulti è cosa legittima in quanto infidi e inquietanti. Cresce sempre più la voglia di allontanarsi dai genitori incapaci di comprenderlo, come quella di sfidare gli insegnanti ritenuti arbitri ambigui e giudici insidiosi per il loro rendimento. Due realtà si scontrano. Due mondi si sfidano. Spetta agli adulti restituire ai ragazzi quell’equilibrio smarrito. Per fare questo gli adulti devono piantarla di inseguire chissà quali traguardi, di ritrovarsi in tutt’altre faccende affaccendati per poi presentarsi, agli occhi dei ragazzi, stressati, frustrati e stanchi. Stanchi di proporsi, stanchi di sorridere, stanchi di dialogare, ma soprattutto stanchi di educare.

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