Quando c’era la fabbrica siderurgica

C’era una volta la fabbrica siderurgica. Le varie sezioni impiantistiche, calandre, laminatoi, trafile, producevano materie prime, che altre aziende utilizzavano per ulteriori trasformazioni, il cui insieme prendeva il nome commerciale di “derivati siderurgici”.Il settore dava lavoro a decine di migliaia di operai che si avvicendavano su tre turni. Alcuni di loro, a causa dell’ignoranza e della cupidigia di manager e titolari, morivano a seguito di incidenti e malattie professionali; altri scioperavano per strappare qualche sacrosanto diritto, ma portavano comunque a casa il salario, con cui mantenevano i figli a scuola e, ad agosto, potevano concedersi una settimana a Cervia o a Milano Marittima.C’era una volta la fabbrica di prodotti chimici. Nei reattori precariamente mantenuti che ogni tanto ammazzavano, esplodendo, un paio di addetti, si producevano fenoli, cresoli, idrossichinolina e i rispettivi alogeno “derivati”. Con raggelante incoscienza i solventi esausti venivano scaricati nei fossi e nei fiumi. Gli ignari ed incolpevoli dipendenti eseguivano gli ordini dei capi con la vaga sensazione di commettere illeciti, ma lo stipendio puntualmente percepito a fine mese, metteva tutto quanto a tacere. Era una logica miope e insana, ma che comunque teneva piena la sacca gastrica di moglie e figli. Su, negli uffici, l’unica cosa importante per gli amministrativi era il mantenimento del cash-flow.C’era una volta la fabbrica casearia di Lodi. Dai suoi magazzini uscivano forme di ottimo grana e di taleggio, burro, panna, mascarpone, latte intero, scremato o in polvere, chiamati in gergo commerciale, “derivati lattiero-casearii”. Anche in quell’opificio si lavorava su tre turni e prima di tornare a casa le maestranze passavano dallo spaccio per comprare tre etti di gorgonzola e le galatine per i piccoli. Tra i tanti dipendenti c’era Vincenzina Iannacci, una giovane operaia meridionale, fuggita dall’indigenza e dalla secolare inerzia del suo paese, che sostituiva spesso le colleghe per fare la nottata dalle 22 alle 6 del mattino. Ciò le creava ansie e disagi, ma le permetteva comunque, di percepire una paga maggiorata di cui aveva gran bisogno. Il suo uomo, emigrato in Germania, non si era fatto più vivo e lei era rimasta sola con i suoi due bambini.Sopra quel mondo che produceva beni tangibili, sia pur fuori dalle regole, ma con un reale valore di mercato, ora si è abbattuta la crisi. Su di esso bisognava intervenire per tempo onde operare le giuste correzioni e questo sarebbe dovuto essere il compito dei legislatori e dei servizi esecutivi ai vari livelli, dai parlamentari ai funzionari, dai giudici agli operatori sanitari, dai finanzieri agli ispettori dell’ufficio del lavoro. Ma la maggior parte di costoro era impegnata a trarre il massimo beneficio da quella “vacca” che, continuando a produrre, solo in apparenza era grassa, quando invece nascondeva malanni di ogni genere.Oggi i “derivati siderurgici” sono bloccati allo stabilimento tarantino dell’Ilva perchè le autorità si sono tardivamente accorte che in quel luogo, da anni, si è consumato un disastro ambientale di inaudita gravità. I “derivati” per l’industria chimica, non hanno più mercato perchè, in assenza di appropriata ricerca, risultano obsoleti a causa della loro tossicità a lungo sottovalutata. La produzione dei “derivati” lattiero-casearii, che per qualche generazione era stata il fiore all’occhiello dei lodigiani, è stata completamente azzerata, mentre lo stabilimento spostato dal centro città per dare spazio a pretenziosi, inutili edifici, si sta trasformando in un cumulo di vetri rotti e di ferraglia ossidata.Per materie prime, semilavorati, prodotti finiti, beni durevoli o di consumo gli spazi sul territorio nazionale si sono ristretti e si è scoperto che, invece di farli produrre agli italiani, è più economico importarli dall’Est. Tanto interviene la CIG!C’è però una moderna categoria di “derivati”, quelli finanziari, di cui sono stracolmi i luoghi della “new economy”, fatta di azioni, di aggiotaggi, di obbligazioni e bond, di veloci transazioni on line, di compravendite fantasma, di scommesse sulla crescita o la “debacle” di questo o quel titolo, di impalpabili trasferimenti in tempo reale, di crediti e debiti fasulli, di colossali tangenti imboscate presso compiacenti rifugi esteri, di liquidazioni milionarie concesse a chi aveva rubato ed aveva fretta a togliersi d’impaccio.Nessuno ora vuol farsi carico di un tale disastro ed in prossimità delle elezioni tutti danno la colpa agli altri e promettono improbabili inversioni di tendenza.Nel frattempo Vincenzina Iannacci, ormai con i capelli bianchi e senza pensione, è stata vista aggirarsi senza il foulard nei pressi di S. Grato. Lei non sa che certi politici si sono comprati le ville al Circeo e che hanno usato i soldi pubblici per festeggiare il compleanno dei nipoti; non sa che i sindacati si sono messi a difendere i privilegi di chi considera il lavoro un fastidioso “optional” e non i diritti di coloro che facevano i turni; non sa che i banchieri si trastullano con i nuovi “derivati” e non danno più credito agli imprenditori onesti. Lei rimane lì, davanti ai cancelli della fabbrica ormai chiusa, aspettando inutilmente d’esser chiamata.

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