Quale progetto per l’Italia?

La crisi imperversa, le aziende stringono i denti, l’occupazione soffre, la credibilità del Paese è minata. Invochiamo la crescita. Ma il grave è che non abbiamo ancora, a quattro anni dalla crisi, alcuna idea di crescita, di come ripartire. Si parla di riforme, regole, strutture, innovazione, competitività, sviluppo, ma senza avere una progettualità, senza un disegno organico di mobilitazione e di coinvolgimento che renda credibile e concreto ciò che ci proponiamo. Preoccupa l’inefficienza di un esecutivo costretto a prender ordini perché non riesce a mettere a punto di suo un piano efficace di interventi e di riforme, per voltare pagina. Ma inquietano anche le radici culturali di questo gigantesco isterismo dei mercati finanziari, la semina di quell’esercito di economisti e analisti che oggi è su un’onda a dire una cosa e domani sull’altra a sostenere il contrario, orientati più dai grafici di borsa che dell’economia reale. Ora – finalmente! - siamo all’”annuncio”, l’ennesimo, che il governo ha in elaborazione, un “piano” “light” con al centro infrastrutture e provvedimenti fermi. E uno per lo sviluppo. Questo, tra parentesi,“decennale”. Sperabilmente, ce ne sarebbe stato bisogno già da ieri l’altro, se non altro per lasciare qualche pausa alle nostre angosce. Il pressing sull’Esecutivo dura da due anni e mezzo. A condurlo sono naturalmente i sindacati, che non parlano di credit default, swap e spreate eccetera (termini con cui gli esperti analizzano la percezione del pericolo), ma di baratro e di misure subito. E i delusi delle imprese, fiduciosi, fino a qualche tempo fa, che il “loro” governo - loro, perché così si era annunciato - , avrebbe tirato fuori le misure attese , mentre, invece, è avvenuto l’esatto contrario, ha mostrato una colossale indifferenza, limitandosi sin qui a provvedimenti che colpiscono duramente le famiglie e i progetti di vita delle persone. La Marcegaglia come la Camusso? Non lo pensiamo lontanamente. Ma d’accordo nel chiedere operazioni incisive e strutturali, questo sì. Quali?. Una riorganizzazione del fisco, la riduzione delle tasse sul lavoro, la lotta all’evasione e al sommerso, una politica per il lavoro, la liberalizzazione dei servizi, l’introduzione di una patrimoniale, le dismissioni immobiliari, aumenti salariali eccetera. Unico argomento che li divide, le pensioni. Un insieme di cose che è stato in difetto fino a ieri. Perché mancava di una visione comune tra le piccole imprese e le grandi imprese di Confindustria; tra le imprese confindustriali e quelle di Confartigianato; tra le centrali sindacali tra loro e tra i sindacati e le organizzazioni industriali.Non che oggi sia stato inaugurato il festival della fratellanza. Tutti però si sono convinti che “senza risposte è inutile sedersi ai tavoli”. La crisi pesa. Sulle imprese, sul lavoro, sul risparmio, sui consumi. Sul Paese, che vede messo in gioco il suo futuro senza un progetto complessivo. Sollecitato da tempo dalle rappresentanze datoriali e sindacali un piano di riforme “più coraggiose” è stato sin qui rifiutato dall’Esecutivo. Per mancanza di idee? Di visione strategica? Di consapevolezza delle scelte da compiere? Per contrasti di interessi o politici? Per accontentare “quel pezzo di partito, di coalizione o di elettorato”? Per mancanza di risorse? Verrebbe da ripetere quello che la regina Elisabetta d’Inghilterra, in visita alla London School of Economics dopo il grande crollo finanziario chiese con sorpresa ai sapienti interlocutori: “Com’è, tutte queste cose trascurate. E’ orribile!”Siamo ancora, è vero, un Paese ad alto tasso manifatturiero. Ma le previsioni ci relegano al fondo dell’Europa, con un Pil dello 0,2% il prossimo anno. Per poter fare meglio, davanti agli sconvolgimenti di cui siamo testimoni in questi mesi, occorre quel che chiedeva Tommaso Padoa Schioppa: “allungare lo sguardo”. Dare stesura delle cose da fare e da governare. Siamo in emergenza, non da oggi. E in emergenza, sappiamo, aumenta la densità del tempo. In ventiquattr’ore, come i fatti hanno dimostrato, si condensano molti avvenimenti, i minuti diventano mesi e i metri chilometri. L’emergenza impone decisioni rapide da parte di chi governa e pensa politicamente. Esitazioni, oscillazioni, indecisioni, abbagli, errori, rinunce, mancanze nel decidere dell’esecutivo non favoriscono un atteggiamento positivo delle imprese e del mondo del lavoro. Quale progetto di crescita, su quali leve, possono immaginarsi dopo i continui cambi di posizione della manovra?Il timore è che venga fuori un altro libro dei sogni, riforme costituzionali per le quali non c’è tempo, infrastrutture e lavori pubblici che partono, o ripartono, sulla carta, mentre cresce il numero dei disoccupati.

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