Quale educazione sessuale?

La cronaca sempre più spesso ci racconta di ragazze, se non di adolescenti, che vivono precocemente esperienze sessuali fine a se stesse, senza che una benché minima dimensione venga occupata dal sentimento. Ragazze e ragazzi che finiscono, il più delle volte, per coinvolgere la famiglia e la scuola, responsabili a loro dire, di non aver dato spazio ad azioni formative o informative in grado di aiutarli a capire, a cercare, a crescere. Eppure oggi sono in molti a crescere in fretta, anzi troppo in fretta. L’educazione sessuale, in un mondo dominato da internet, dove passa ogni sorta di messaggio indistintamente indirizzato a giovani, adolescenti o adulti che siano, ripropone in tutta la sua urgenza una domanda educativa in tema di sessualità: come arrivare al cuore dei ragazzi senza passare da esperienze che fanno del desiderio e dell’attrazione fisica gli unici valori proponibili? Come parlare di educazione sessuale in classe? E soprattutto a chi affidare un tale compito? Sono interrogativi che animano scontri e confronti dove posizioni differenti si contendono efficienza ed efficacia in termini di raggiungimento di obiettivi. Uno di questi confronti, poco prima di ferragosto, è apparso sul Quotidiano Nazionale con differenti dichiarazioni attribuite rispettivamente all’Arcivescovo di New York Timothy Michael Dolan e il sindaco di New York Michael Bloomberg. Per l’Arcivescovo, in quanto ad educazione sessuale «Il diritto e la responsabilità di essere gli educatori dei propri figli spetta ai genitori. Le scuole non possono usurpare il ruolo. Insegnare l’educazione sessuale fra i banchi – sostiene l’Arcivescovo - consente al sistema pubblico di sostituire i propri valori a quello dei genitori». Dunque i genitori anche in tema di educazione sessuale ricoprono un ruolo determinante in famiglia. Molto più terra terra la tesi del sindaco Bloomberg per il quale, invece, la questione più che di natura educativa, è di natura tecnica. Per lui i ragazzi «devono imparare a prendere le dovute precauzioni durante le loro prime esperienze». Come si vede sono due visioni del tutto diverse. Da una parte si invoca l’esigenza di un approccio culturale educativo di esclusivo appannaggio dei genitori, dall’altra emerge un consiglio oserei dire più pragmatico che punta essenzialmente a insegnare ai ragazzi le tecniche precauzionali durante i rapporti sessuali. Come dire via a un percorso formativo di educazione sessuale nelle scuole fondato su un corretto uso dei preservativi. Certo è una teoria che meglio risponde alla dilagante libertà sessuale promossa da internet. In fin dei conti così si va oltre la responsabilizzazione di un rapporto per proporsi invece come soluzione semplificata per meglio gestire eventuali incontri occasionali dove amore, affetto e sentimento, sono sostituiti dal semplice desiderio sentito solo come attrazione fisica verso l’altro. Bisogna avere il coraggio di dire le cose come sono. L’informazione sessuale dilagante mette più che mai in discussione una certa sobrietà dei costumi fino a disorientare soprattutto adolescenti e giovani su come vivere un autentico rapporto costruito su una significativa esperienza d’amore. Vale sempre la pena ricordare che se la scuola agisce per progetti, allora va da sé che le varie attività formative, e quindi anche quelle di educazione sessuale, devono partire dall’approfondire i valori dell’emozione per arrivare ai sentimenti. E in questo i profilattici c’entrano poco. Sesso e amore sono due cose diverse come la zizzania è diversa dal grano. Se si vuole sperare in un buon raccolto bisogna lavorare per separare il grano dalla zizzania. L’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole in virtù della delicatezza del compito che viene affidato, siano essi docenti o esperti, richiede una forte e seria preparazione professionale, scientifica e morale di un certo livello. Non ci si improvvisa esperti di processi formativi che sappiano proporre fondamenti educativi afferenti amicizia e affetto, emozioni e sentimenti, desiderio e innamoramento, sesso e amore. Sono processi talmente delicati che, sarebbe bene ricordare, non possono essere lasciati completamente alla scuola. La famiglia entra con tutta la sua importanza a contribuire, per quello che le compete in quanto le appartiene, a educare i ragazzi a scoprire la gioia che scaturisce da una relazione, da un incontro, da un rapporto con l’altro. Tutto questo non ha niente a che vedere con le tecniche amatoriali, con le lezioni su un corretto uso del preservativo o con la distribuzione di preservativi nelle scuole. Dobbiamo forse rimanere sereni di fronte a certe notizie che ci raccontano di lezioni di educazione sessuale, in una scuola americana, rivolte a bambini di otto anni, a cui viene «insegnato a mettere un preservativo a un cetriolo» (Giuliano Ferrara su La Stampa dell’11.01.2011). O quando leggiamo notizie di ragazzi sorpresi a fare sesso in classe durante una regolare lezione mentre un videofonino riprende tutta la scena per poi metterla in rete. Tutto questo non ha nulla a che vedere con l’educazione alla salute, l’educazione alla conoscenza del proprio corpo e al rispetto della propria e dell’altrui sessualità. Del resto non c’è che da registrare l’evoluzione dei tempi quando si scopre che a trasmettere l’importanza di certi valori non sono più gli insegnanti, ma i siti web, non sono più i genitori, ma i coetanei con le loro insicurezze e le loro incertezze. Ciò che fa più riflettere è che un simile stato esistenziale è pienamente condiviso dagli stessi genitori che in fatto di educazione sessuale preferiscono delegare ad altri ogni aspetto formativo e/o informativo, scoprendosi, così, ignoranti in fatto di risposte educative da dare. E allora spazio ai siti web con le loro lezioni. E che lezioni! Occorre, a questo punto, parlare di educazione sessuale nelle scuole, partire da esperienze formative che però devono andare oltre le semplici istruzioni per l’uso. Esiste, per questo, una dimensione culturale fatta di rispetto dei sentimenti, di governo degli affetti, di gestione dei desideri, che agisce e va oltre l’imparare a gestire un profilattico. E da qui che bisogna partire.

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