Province, oltre i pro e i contro...

Dunque ci siamo? Con il trasferimento alle Regioni delle competenze delle Province, si vedrà anche come si muoveranno le Regioni, incaricate di trarre vantaggio, ovvero di ridurre le spese, dalla “riorganizzazione delle funzioni”, da esse stesse sollecitate e ottenute con una decisione un po’ a sorpresa. Un colpo d’accetta che “getta il paese nel caos“, ha dichiarato con un eccesso d’enfasi il presidente dell’Upi.Al di là delle comprensibili schermaglie che impegneranno per qualche giorno ancora anche i lodigiani, quale “tessitura” daranno le Regioni alla riforma? S’intende una volta che il percorso parlamentare sarà completato, e sempre ché qualcuno non si metta di traverso costringendolo a un supplemento confermativo (ipotesi niente affatto peregrina). Quali eventualità si possono congetturare? Detto molto semplicemente, in Lombardia le Province spariranno di nome e di fatto o la cancellazione si risolverà in una incorporazione formale per cui, agitando la necessità di un “livello intermedio”, l’assorbimento si tradurrà, con l’unione dei Comuni, in una modifica non troppo sostanziale e tutt’al più conglobando qualcuna delle più “appetitose” deleghe?Quello delle Province è un tormentone che si trascina da anni. C’è chi ha pensato di doverle cancellare, ritenendole un doppione di burocrazia (quindi un costo); chi ha suggerito di “accorparle” e chi, andando più in la, ha immaginato di “ripensarle” sotto altro nome, all’interno dell’intero riordino delle autonomie locali; chi patrocina l’idea che tutte le funzioni delle Province debbano essere svolte dai livelli di governo superiore (Regione) e inferiore (Comuni), oppure lasciate al mercato; e chi sostiene infine lo status quo, coi tanti argomenti che abbiamo imparato a conoscere a livello locale.Nel “ridisegnare” la manovra ”quater” il governo ha rimandato il loro destino a un ddl costituzionale, “pregustando” risparmi (2 miliardi circa) senza dar peso alla constatazione che l’attuale organizzazione istituzionale è in Italia incentrata largamente su base provinciale. Se non fosse una domanda troppo ingenua o retorica, verrebbe da chiedere perché conoscendo gli orientamenti del governo e i programmi elettorali dei partiti, coloro che ora sono saliti sulle barricate non si sono mossi per tempo. Ma preferiamo rimanere su un altro terreno. Naturalmente sfugge quale criterio abbia potuto portare alla prima decisione di sopprimere la provincia di Lodi e altre 28 Province esistenti, con meno di 300 mila abitanti, che avrebbe comportato un risparmio solo di 300 milioni. Monetine, rispetto al fabbisogno della manovra. Tant è che la prospettiva era stata dai lodigiani avvertita più come una forma di delegittimazione del territorio, avendo più il sapore di una cacciata, quasi di una punizione per avere “strappato” quel 6 marzo 1992 il riconoscimento dell’autonomia (grazie all’irriducibile impegno dei Manfrini, Magrini, Lodigiani, Cancellato, ecc.) e su di essa avere consolidato la propria identità con il distacco della propria economia da quella milanese.Con il testo approvato dal Consiglio dei ministri, caduta nella maggioranza la fronda contro la loro soppressione, saranno tutte le Province a dire addio, con l’eccezione di Trento e Bolzano. Ma qual è lo scopo del sì e del no, del conservare in vita le Province o del sopprimerle? Non certo di farlo per il gusto di farlo. In un caso, è un modo (dichiarato) per recuperare risorse alla manovra e contribuire a un ammodernamento delle autonomie; nell’altro, per… assicurare il buongoverno. Non si pensi a una contraddizione. A prescindere dalle considerazioni culturali e politiche che sono alla base delle due “visioni” è scontato che un “livello intermedio” in Lombardia è fondamentale per cui l’unione dei Comuni che erediterà ogni rapporto giuridico, o lo garantisce da subito o diventerà teatro di lotte di campanile. La Regione è troppo distante dalle realtà territoriali e dai loro bisogni, oltre che nascondere, a modo suo, forme e tentazioni di centralismo che ben conosciamo.Tranne qualche “architetto”, su questo terreno sembra si siano trovati in parecchi. Mentre poca o non adeguata attenzione mi pare sia stata riservata al problema dei costi, argomento ritrovato a giochi fatti. In giro è rimasto pertanto un interrogativo: ai risparmierà o non si risparmierà cancellando le Province?I veri e propri “costi della politica” delle province concernono indennità e gettoni di presenza, pari a 113 milioni di euro. Ammettendo che la loro soppressione possa consentire un forte abbattimento delle spese generali (stimate dall’Upi in circa 750 milioni di euro), la massa critica dei risparmi effettivamente conseguibili, secondo alcuni studi (Istituto Bruno Leoni, La Voce, ecc.), verosimilmente non andrebbe oltre i 2 miliardi di euro (personale escluso). Ovviamente, una cifra tutt’altro che da disdegnare, ma solo presuntiva. E’ evidente che l’obiettivo non è solo il risparmio. Tanto che nel Ddl approvato il valore dei tagli possibili non è stato neppure quantificato. Se non è una furbata o una distrazione, la decisione ha un significato preciso di riforma.In un ottica diversa, una somma del genere si sarebbe potuta ottenere senza stravolgere l’organizzazione degli enti locali, con proposte di accorpamento delle competenze. Ma questo è solo un esercizio retorico. Il processo di legge costituzionale richiederà tempi lunghi: una legge da approvare con procedura aggravata (prevista dall’art. 138 della stessa Costituzione), che trovi d’accordo entrambe le Camere, che l’approvino due volte ciascuna lasciando fra la prima e la seconda deliberazione almeno tre mesi. Non solo, ma che in seconda votazione, trovi favorevole la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Tempi biblici o giù di li. Che potranno essere contenuti solo se i partiti (quasi tutti favorevoli alla soppressione) manterranno le posizioni annunciate. Il che non è scontato. Entro un anno le Regioni dovranno poi approvare proprie leggi di attuazione. Per questo qualcuno (sulla stampa maggiore) ha gridato al grande bluff. In materia, gli slittamenti d’opinione si sà non si contano. Varrebbe voglia, se non fosse tanto lunga la lista, di metterli in elenco. Il numero delle proposte, approvazioni a metà, bocciature, passaggi, rinvii, rilanci e rimandi la dice lunga. Come mai sulla riforma delle autonomie locali si è continuato a giocare? Per sperimentare il mondo della politica e per collaudare le proprie capacità di affermazione? O per una ragione più semplice e misteriosa, divertirsi a giocare alla politica? Certamente no. Non è da sottovalutare la constatazione che nel dibattito che ha accompagnato la decisione di sopprimere le Province, la voce della Regione abbia conosciuto una insolita afonia.Alla fine, dunque, non può che tornare spontanea la domanda iniziale. Scontato tutto quel che si deve dare per scontato, quale “tessitura” darà la Regione Lombardia alla riforma una volta che passerà alle sue decisioni?Dalla sua creazione - se vogliamo, ancor da prima, dal Consorzio del Lodigiano - la Provincia di Lodi ha avuto un approccio equilibrato per combinare i vantaggi politici ed economici dei Comuni e degli enti collegati, mantenendo al territorio la sua identità di realtà sub-regionale valorizzandola. Ha coordinato e guidato processi importanti di decisione all’interno dei confini e delle assegnazioni ed esercitato un compito non irrilevante di presidio territoriale. Questo però è solo un discorso di carattere locale, importante per noi lodigiani, ma che non può valere in senso generale. All’approvazione di palazzo Madama il presidente dell’Upi è stata durissimo: “A guadagnarci saranno i soliti noti, che da questa spartizione della democrazia avrebbero le mani libere per lucrare sui servizi essenziali ai cittadini”. Una reazione (a caldo) che non ha neppure raccolto uno sdegno dai maggiorenti del suo partito. Quali sono i servizi dai quali i sostenitori della cancellazione pensano si possano ricavare risparmi diretti e indotti attraverso la modernizzazione della macchina organizzativa dello Stato? La gestione delle strade provinciali che potrà ritornare all’Anas; l’edilizia scolastica affidandola al comune territorialmente competente, con una pianificazione regionale anche delle risorse; la programmazione del ciclo dei rifiuti, rientrata nelle competenze regionali e con la gestione operativa affidata ai comuni; così le funzioni legate alle risorse idriche ed energetiche; il comune territorialmente competente potrebbe veder implementate le proprie competenze in materia di viabilità e trasporti, nell’ambito di una più ampia pianificazione regionale; le competenze in materia di mercato del lavoro potrebbero essere attribuite al comune già capoluogo di provincia; l’assunzione da parte della Regione delle competenze in materia di parchi, riserve naturali, caccia e pesca; per l’urbanistica già oggi la competenza è ripartita principalmente tra Regione e comune, senza contare che molte attività in materia di autorizzazioni oggi attribuite o delegate alle province potrebbero venire liberalizzate. Entro un anno dalla entrata in vigore della nuova riforma costituzionale una legge regionale dovrà mettervi mano e altro ancora.Su questo terreno si incentrerà il futuro dibattito. E molte cose che oggi i devoti della seduzione e della gloria hanno esibito non reggeranno alla prova dell’utile. Anche questo è scontato.

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