Prima o poi ci si dovrà fermare

Su uno degli inserti del Corriere il giornalista Aldo Grasso, settimanalmente, sceglie ed analizza una parola chiave entrata in modo troppo ridondante ed enfatico nell’uso del viver quotidiano. Seguendo questa falsariga provo a soffermarmi su un termine, dall’utilizzo inflazionato, tanto caro ai politici, agli amministratori e ai professionisti: “riqualificazione”. Nelle mani di costoro un’arma a doppio taglio con cui prendersi gioco degli ingenui cittadini.Riqualificare dovrebbe significare dare una nuova qualifica, cioè una nuova destinazione, utilizzo o assetto a quanto sarà oggetto dell’intervento. Il semplice fruitore della parola la intende, tuttavia, come un passaggio necessario per dare nuova qualità all’opera in fieri. Ne consegue un’interpretazione ambigua, destinata spesso a sfociare verso intese divergenti.In nome della “riqualificazione”, applicata al nostro territorio come pure all’intero suolo nazionale, si sono compiuti e si compiono scempi a dismisura. Sotto la sua egida innumerevoli sono, alla periferia dei nostri paesi, le aree a connotazione agricola “riqualificate” in quartieri residenziali, in zone industriali straripanti di logistica, in aree commerciali o altro. Il tutto ad una velocità dal ritmo esponenziale, con il rischio che molti paesi e cittadine perdano la propria identità, il proprio centro o la propria specificità tanto i nuovi agglomerati si uniscono l’uno all’altro in una continuità senza limiti e confini.Il termine riqualificazione investe le periferie, ma non ignora neppure i centri. Ampi ed antichi cortili sono stati cancellati per far spazio a condomìni anonimi e alienanti, riscattati a malapena da una facciata esteticamente corretta, pronta a nascondere dimore incapaci di garantire forme di umana abitabilità e socializzazione.Sul Cittadino di sabato, 20 agosto, un articolo della Dott.ssa Luisa Luccini, sempre capace ed obiettiva nel suo accostarsi ai problemi legati a Codogno, dà ampio spazio ad un’opera in via di dirittura, che “accoglie” quanti arrivano a Codogno dal Nord. Un “cuore commerciale” di 2000 metri quadrati, per me un blocco di cemento, informe, grigio, dall’aspetto cupo e quasi sinistro (ma forse questa è l’architettura che risponde ai canoni dell’uomo di oggi), dà il suo benvenuto e si presenta come un biglietto da visita eloquente a quanti entrano in quello che un tempo era, dopo Lodi, il borgo più importante, ricco e raffinato del Lodigiano. E’ sufficiente poi percorrere un pezzo di circonvallazione per avere conferma di essere finiti in una città davvero “riqualificata” Prendendo a sinistra ci si imbatte presto nel nuovo supermercato Conad, con relativo rondò ad hoc e un inspiegabile, enorme condominio alle spalle, per nuovi spazi d’acquisti, così necessari in questo tempo di crisi. Girando invece verso destra l’occhio cade smarrito sul parco della villa Polenghi, uno dei parchi più belli della città e del territorio, ora stremato e ridotto in fin di vita, con gli ultimi alberi secolari abbandonati e sempre più sofferenti, sempre più incapaci, poiché privi di forze, di richiamare l’attenzione degli abitanti ormai indifferenti e coriacei.Ma non si perda d’animo il turista e continui il suo giro. Incapperà nell’ex area Felisi, circa 7.000 metri di terreno a breve riqualificati, o nella Via Barattieri, sventrata e cementificata, o in Via Garibaldi, farcita di una nuova costruzione in nulla dissimile dalle sue coetanee, oppure nella zona residenziale Pedrazzini Guaitamacchi, quasi congiunta alla vicina Cavacurta. Se a questo punto si decidesse di lasciare definitivamente Codogno si potrebbe optare per l’uscita verso Piacenza. Si sarebbe allora salutati dall’”eco-mostro” di nuova generazione, attorniato da tante nuove propaggini di simile fattura. Una sfornata di appartamenti vuoti e invenduti per soddisfare una crescita demografica inesistente. Il percorso di Codogno preso ad esempio può applicarsi ad ogni altro paese del Lodigiano. Ma forse così va il mondo, così vanno i suoi abitanti, così si muovono i vari centri del potere, capaci di parole di frasi altisonanti nei convegni e negli incontri sull’ambiente, paladini di una rinnovata sensibilità verso il pianeta ed il Creato, ma poi prevalentemente sensibili al profumo del denaro, del profitto, del potere.Sappiamo che i Comuni, oggi più di ieri, vivono ormai grazie agli oneri di urbanizzazione, ma allora dobbiamo rassegnarci al consumo selvaggio del territorio, dobbiamo ritenere impossibile salvare le ultime aree verdi e fermare il consumo del terreno sì da restituire ai nostri paesi la loro dignità?Gli imprenditori edili, pur con gravi responsabilità nella manipolazione del territorio, fanno il loro lavoro, ma non è ancor più grave la leggerezza e l’ottusità degli amministratori e dei politici nell’avallare PGT deliranti, senza minimamente ponderare la ricaduta degli stessi in termini ambientali, sociali, culturali?Gli Stati Generali hanno un compito immenso, ma non impossibile. Se riusciranno a farsi carico delle tante istanze e a far sentire in modo autorevole la loro voce, allora potrebbe rinascere qualche speranza. Ricordiamoci tuttavia che ciascuno deve fare la propria parte, senza delegare sempre il compito ad altri, con coscienza e responsabilità, fiduciosi di pensare ad un mondo migliore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA