Preside aggredito: la follia dei nuovi adulti

«Siamo ad un degrado totale della società e il compito della scuola e’ sempre più difficile» sono le amare parole del mio collega, Salvatore Casella preside dell’Istituto Comprensivo di Pedara, un paese sulle pendici dell’Etna nel catanese fatto oggetto di una inqualificabile aggressione. Autori della folle violenza due uomini che a volto scoperto, senza alcuna remora, eludendo la vigilanza all’ingresso dell’istituto, riescono a raggiungere il preside nel suo ufficio e al grido «te ne devi andare da questa scuola» lo riempiono di schiaffi, calci e pugni prima di fuggire senza lasciare traccia. Naturalmente il collega è stato prontamente assistito da alcuni docenti accorsi in suo aiuto e accompagnato al più vicino ospedale per le necessarie cure a cui è seguita la formale denuncia presso la locale stazione dei Carabinieri. Non è la prima volta che sentiamo di queste follie con presidi e docenti fatti bersaglio di insulti e aggressioni inaudite che hanno come luogo la scuola. Adesso arriveranno la solidarietà del Ministero, delle diverse istituzioni, enti, associazioni, colleghi e sindacati poi, tempo una decina di giorni che tutto passa nel dimenticatoio fino al nuovo episodio che la cronaca ci offrirà. Anche in questo caso, come è stato precisato dal collega, l’aggressione va trovata esclusivamente nella gestione organizzativa e amministrativa nonché nell’esercizio delle proprie funzioni. E’ un altro esempio che va ad aggiungersi ai tanti che in questi ultimi anni ci richiamano ad un’amara constatazione: la scarsa considerazione sociale di chi lavora nella scuola ed io aggiungo anche la scarsa considerazione etica che la scuola oramai origina nell’animo di chi la vede non più capace di esprimere se stessa, di chi la vede non più in grado di assolvere al suo mandato formativo, di chi la condanna ad un ruolo marginale in campo educativo se non addirittura a un ruolo di contrasto sul piano educativo famigliare.E quando questo si manifesta in tutta la sua virulenza allora quel «te ne devi andare da questa scuola», che sia rivolto a un preside o a un docente non è più un grido di rabbia, ma diventa un grido di passione che sia pur privo di qualsiasi civica giustificazione, viene interpretato come un passaggio necessario per imporre le proprie ragioni, per arrivare allo scopo. «Le parole sono pietre» ci ricorda Carlo Levi con il suo romanzo che guarda e scruta una Sicilia rassegnata, ma che vive nella speranza di vedere cambiato chi è senza speranza e rigenerato nel riscatto sociale chi vive in uno stato di malinconica sottomissione. Sono pietre anche le parole pronunciate dai due vigliacchi che invitano il mio collega ad andarsene dalla sua scuola, da quella scuola a cui da anni dedica il suo ufficio al servizio dei suoi alunni, dei genitori, della comunità intera. Gli alunni sono la sua missione, la speranza di vederli crescere diversi è la sua prima preoccupazione. Spesso i ragazzi vengono additati per le loro scorribande, per le loro stupidate e volgarità, per la loro fragilità. Di loro si dice che sono una generazione di scansafatiche e ci si dimentica dei tanti bravi ragazzi che non fanno rumore e vivono nel reciproco rispetto. E degli adulti? Cosa possiamo dire degli adulti di oggi? Forse che questa generazione di genitori sono meno problematici dei loro figli? Oggi, purtroppo, abbiamo a che fare con una generazione di adulti che spesso seminano ostilità e rancore. Una generazione cha non riconosce o fa fatica a riconoscere i valori trasmessi dai padri, che si rivela spesso incapace di trasmettere, a sua volta, gli ideali educativi perché è essa stessa priva di ideali educativi. «Perché la società dovrebbe sentirsi responsabile solo per l’educazione dei figli, e non per l’educazione di tutti gli adulti di ogni età?» è la domanda che si pone Erich Fromm sociologo tedesco autore di alcune opere che sono ancora oggi una scommessa nel panorama socio-culturale internazionale. Dunque è soprattutto agli adulti che bisogna guardare, perché è a loro che va addebitato questo disastro educativo. Cosa avranno insegnano questi adulti ai ragazzi quando si scagliano «con parole, opere ed omissioni» contro docenti e presidi; che si oppongono a criteri educativi poiché palesemente non condivisi; che si mostrano accondiscendenti verso i propri figli per ripagarli dei loro sensi di colpa; che vivono drammaticamente la sindrome di Peter Pan, fuggendo così da precise responsabilità che al contrario la società oggi richiede con forza. Potrei continuare e mi verrebbe facile dimostrare come una sorta di paura sia oggi in agguato fino a giocare un brutto scherzo a chi vuole opporsi a quelle paure. Ecco spiegato perché educare è diventata un’opera titanica. Genitori che diventano amici dei figli e in quanto tali pronti a difenderli come si fa tra amici per la pelle; figli che si mettono sullo stesso piano dei genitori, vivendo un ruolo confusionario nella relazione famigliare; valori che tendono a modellarsi sui nuovi sinistri paradigmi che la società di oggi mette in risalto fino a trovare nelle nuove generazioni un terreno fertile. Cosa può fare la scuola per questi genitori? O è forse meglio dire cosa possono fare questi genitori per la scuola? Educare è la risposta. A volte ho la sensazione che più si parla di educazione in famiglia e più essa perde di significato. C’è un clima culturale sbilanciato su argomenti che vedono la scuola soccombere e questo vuol dire sminuire di significato l’opera pedagogica che per natura è chiamata a compiere. La scuola dovrebbe essere riconosciuta come il luogo formativo per eccellenza dove si vivono forti esperienze di relazione, di formazione e conoscenza, luogo di crescita dove il dialogo è tirocinio al confronto, ma soprattutto luogo di educazione verso i valori della vita. «L’obiettivo principale della scuola è quello di creare uomini che sono capaci di fare cose nuove» scrive Jean Piaget pedagogista e filosofo svizzero. Ma se tutto questo non è riconosciuto, non è condiviso da genitori e studenti, se tutto questo viene osteggiato o mal sopportato, allora la confusione prenderà il sopravvento, la scuola sarà derisa, i docenti non verranno ritenuti idonei nella loro professione e i presidi saranno additati di autoritarismo. In fondo è la scuola che tanti adulti vogliono proprio per giustificare le aggressioni. Mala tempora currunt.

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