Una risposta antica. E insieme nuova. A un bisogno fondamentale: nutrirsi. Solo che quando si è poveri, e magari poveri estremi, mangiare diventa un problema, con le sole proprie forze. E allora un indirizzo sicuro, a cui rivolgersi, lo si trova: è la mensa (dei poveri). La rilevazione delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia, svolta dalla Consulta nazionale ecclesiale degli organismi socio-assistenziali e coordinata da Caritas Italiana (aggiornata a fine 2009, è stata pubblicata nell’estate dello scorso anno), ha recentemente approfondito il tema del rapporto tra povertà e bisogno alimentare. Nel nostro paese, oggi, sono numerose i soggetti che si cimentano con questa sfida: oltre alle mense per i poveri, ci sono i volontari (e le loro associazioni) che portano il pacco alimentare direttamente nelle abitazioni. Il quarto Censimento nazionale delle opere socio-sanitarie e socio-assistenziali, ripreso dal Poveri di diritti, l’undicesimo Rapporto Caritas-Zancan su povertà ed esclusione sociale in Italia, ha effettuato un approfondimento sul mondo delle mense, analizzando il piano dell’offerta (numero, organizzazioni, strutture) e dall’altro quello dei protagonisti dei bisogni (analisi dei beneficiari).
In Italia le mense socio-assistenziali attive sono 449. La distribuzione nel territorio è abbastanza omogenea: si contano infatti 164 mense al nord (pari al 36,5% del totale), 108 nel centro (24,1%) e 177 nel meridione (pari al 39,4%). Se si considera la ripartizione a cinque macroregioni, la maggior parte delle mense si trova nel sud (119), seguono il centro (108), il nord-est e il nord-ovest (entrambi con 82 mense) e le isole (58). Nel complesso si tratta di realtà promosse soprattutto da parrocchie (119), Caritas diocesane (106) o da istituti di vita consacrata (100).
Nella gestione, invece, esiste un ventaglio più variegato di situazioni: l’ente più frequentemente
coinvolto è la parrocchia (30,7% dei servizi), seguono gli istituti
di vita consacrata e le società di vita apostolica (gestiscono il 20,9%), associazioni di volontariato (12,2%) e Caritas diocesane (10,5%). La più forte corrispondenza tra promozione e gestione si registra per le parrocchie e gli istituti religiosi: per le prime, su 119 mense promosse, 96 sono quelle anche gestite (pari all’80,6%); per i secondi, su 100 mense promosse, 83 sono anche gestite (83%).
Diverse, invece, le dinamiche interne al mondo delle Caritas diocesane, più propense alla promozione che alla gestione dei servizi (solo il 38% delle mense promosse dalle Caritas sono gestite dalle stesse). Passando dalla gestione al personale, è interessante che il 96,8% degli operatori coinvolti sono volontari (il 93,7% laici e il 3,1% religiosi); pressoché marginale il peso del personale retribuito, pari al 2,4%.
In totale, le mense presenti in Italia hanno erogato nel 2009 circa sei milioni di pasti, per un numero medio al giorno di 16.514. La macroregione geografica che si caratterizza per il numero più elevato di pasti è il nord-ovest, con quasi due milioni di pasti erogati; seguono sud (1.439.203 pasti) e nord-est (1.236.791 pasti).
Grazie ai dati sul volume di attività è stato possibile identificare quattro categorie di mense: le piccole (erogano fino a un massimo di 10 pasti al giorno), medio-piccole (da 11 a 40 pasti al giorno), medio-grandi (da 41 a 100 pasti) e grandi (oltre 100 pasti).
Sull’intero territorio nazionale sono molto più numerose le mense piccole o medio-piccole (insieme rappresentano il 67,7% del totale): la piccola dimensione della mensa favorisce maggiormente il rapporto umano e la presa in carico personalizzata dell’utente. In questo modo, è possibile garantire anche presso luoghi di erogazione di beni primari, un momento di prossimità, o quanto meno verificare il passaggio degli utenti presso altri luoghi di ascolto e accompagnamento personalizzato.
In linea generale, la diffusione (piuttosto capillare) delle mense socio-assistenziali suscita diversi interrogativi di natura etica e morale. Non va sottovalutato il fatto, anzitutto, che l’erogazione di un pasto presuppone l’esistenza di persone e famiglie, in un territorio, che non riescono a soddisfare il bisogno primario di alimentazione.
In questo senso, il fatto che un sistema istituzionale e una società civile non escludano il ricorso sistematico a enti privati per garantire la sopravvivenza alimentare dei cittadini rappresenta una sorta di “fal- limento” per il sistema di welfare.
Eppure, solo il 17,5% delle mense è in convenzione con l’ente pubblico. Tale lacuna dovrebbe costituire, in sede locale, ma anche su scala nazionale, oggetto di dibattito e denuncia, in quanto a fronte di un bisogno alimentare insoddisfatto va rilevata una grave carenza assistenziale, di cui le autorità locali e gli enti istituzionali dovrebbero assumersi in pieno la responsabilità.
Passando al versante dei fruitori
del servizio, uno studio qualitativo, svolto su un campione di mense promosse o gestite da Caritas, ha permesso di tratteggiare il profilo dei bisognosi.
In base a questo studio, si tratta in prevalenza di stranieri di sesso maschile, la cui età è spesso compresa tra i 41 e i 65 anni; la maggior parte degli ospiti si trova in situazione cronica di indigenza o povertà economica, tanto che i senza dimora continuano a costituire la maggioranza degli ospiti.
La presenza di famiglie intere che si recano alla mensa, di cui pure tanto si è parlato, a livello
giornalistico, in questi tempi di
crisi, non è invece considerata un fatto ordinario: prevalgono le presenze di persone sole, sia tra gli italiani che tra gli stranieri. Prevalgono anche le vecchie “conoscenze” sulle nuove presenze, mentre le persone stabilmente residenti nel territorio prevalgono sulle persone di passaggio.
Oltre alla fotografia del profilo sociale prevalente, è possibile però cogliere trend significativi, che riguardano nuove categorie di poveri: sono in aumento le persone di cittadinanza italiana, i coniugati, i cittadini che vivono presso un’abitazione regolare, in modo particolare le persone cadute da poco in situazioni di indigenza o povertà economica. Come dire: gli habitué non demordono e continuano a costituire la “clientela” prevalente, ma la crisi arruola nuove leve. E le mense devono sfornare pasti, sempre più numerosi.
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