PLANISFERO Sicurezza interna e ruolo nel mondo: le spine nel fianco dei “nuovi” talebani

L’analisi per «il Cittadino» del professor Massimo Ramaioli

Ad un mese e mezzo dalla presa del potere a Kabul dei talebani, qual è la situazione in Afghanistan? Al momento, ci sono tre questioni di primaria importanza. In primo luogo la sicurezza interna. Secondo, il riconoscimento internazionale. E in ultimo, la questione economica, specie in relazione alle ricchezze minerarie del paese. Sono queste questioni connesse l’un l’altra che offrono un quadro alquanto complesso.

Cominciamo con il primo problema: la sicurezza interna. Oggi come nel 1996, all’epoca del primo regime talebano, costoro hanno ottenuto una certa approvazione da parte della popolazione afghana in quanto capaci di riportare un grado di sicurezza e pacificazione del territorio. Signori della guerra, bande e milizie armate, criminali comuni: con metodi tutt’altro che giuridicamente legittimi, anzi spesso brutali ed extragiudiziari, i talebani si sono comunque posti come regime dell’ordine contro il caos.

Ma ecco che l’attentato all’aeroporto di Kabul il 26 agosto scorso, il più grave in circa vent’anni con oltre 180 morti e centinaia di feriti, ha posto in discussione tutto questo. Si è trattato infatti di un episodio nel contesto della rivalità tra talebani e ISIS-K, ovvero la franchigia locale del sedicente Stato Islamico, dove ‘K’ sta ad indicare la regione cui esso fa riferimento, ovvero il Khorasan, che si estende appunto tra Iran orientale e Afghanistan. Che due gruppi islamisti radicali si affrontino, anche e soprattutto violentemente, con attacchi e scontri armati, non dovrebbe sorprendere: le divisioni in tale campo sono molto marcate a livello ideologico e programmatico; rispondono a sponsor stranieri diversi; hanno diverse estrazioni etniche e culturali. Per esempio, i talebani hanno chiuso recentemente sedici moschee di ispirazione salafita, ovvero della corrente ideologica che ha partorito l’ISIS, in varie regioni del paese. Essi afferiscono al Pakistan mentre l’ISIS è vicino ad alcuni potentati del Golfo. I talebani sono una forza indigena; l’ISIS vanta nelle sue fila molti combattenti stranieri.

Questa situazione rimane grave per i talebani in quanto, dovendosi trasformare da forza di opposizione militante a regime di governo rischia di perdere, tramite defezioni e divisioni interne, la sua stessa forza. In questo senso, molte delle fazioni talebane più radicali e violente potrebbero trovare nella continua militanza intransigente dell’ISIS una valida alternativa al movimento talebano: esso va giocoforza istituzionalizzandosi mentre entra nelle stanze del potere a Kabul.

La continua presenza e anzi recrudescenza di tali problemi di sicurezza interna riguarda direttamente il riconoscimento internazionale del nuovo regime talebano. Un riconoscimento che per esso è vitale: gli accordi di Doha del 2020 tra i rappresentati talebani e l’allora presidente Trump subordinavano il riconoscimento USA di un possibile governo talebano al termine di ogni presenza di gruppi terroristi come ISIS e Al-Qaeda nel paese, con la contestuale garanzia di porre fine ad attacchi contro le truppe del Pentagono. Al momento, questa situazione non si è ancora avverata appunto: e nessun governo straniero, nemmeno il Pakistan, principale sostenitore dei talebani, ha ancora riconosciuto il nuovo governo. Questo ha comportato il congelamento dell’accesso dei talebani alle valute estere - il dollaro in primis, naturalmente - con cui pagare le imprescindibili importazioni di beni di prima necessità per un paese non autosufficiente sul piano alimentare, sanitario ed energetico.

Una drammatica situazione economica che potrebbe trovare nello sfruttamento di risorse naturali linfa importante: nuove stime rivelano grandi depositi di ferro, alluminio, oro, rame, mercurio, zinco, marmo, litio, uranio, oltre a varie pietre preziose di cui l’Afghanistan è sempre stato esportatore. La Cina ha già iniziato ad insediarsi nel paese, con un grande impianto minerario non lontano da Kabul. Tuttavia, lo sfruttamento di questa ricchezza non può essere una soluzione immediata: la costruzione di infrastrutture e impianti logistici per l’esportazione richiederà secondo alcune stime tra i sette e dieci anni, e solo capitali esteri - che al momento, appunto, non possono accedere al paese - possono garantirne lo sviluppo.

Di tutto questo, ovviamente, i talebani ne sono ben consci. A differenza del primo regime nel 1996-2001, si stanno premurando in un certo senso di mostrare un volto meno oscurantista e radicale di allora: alcune dichiarazioni, come per esempio la possibilità di studiare per le donne, vanno in quel senso. Ma tali episodi non sono abbastanza nemmeno per coltivare illusioni. Se vi sono cambiamenti in seno al movimento talebano, essi sono soltanto cosmetici, marginali, e puramente tattici per ottenere l’agognato riconoscimento quale legittimo potere in Afghanistan. Un recente divieto ai barbieri della regione meridionale di Helmand di tagliare la barba, pena draconiane punizioni, si chiudeva con l’intimazione che “non è possibile discutere questo ordine”. La natura fondamentale dei talebani non è in discussione: solo le modalità e le tempistiche delle relazioni con essi della comunità internazionale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA