Perché dovetti abbandonare la mia terra

I martiri gettati nelle foibe, l’esodo di un popolo con la conseguente perdita della terra, la morte civile di tanti esuli confinati per anni nei ghetti dei campi profughi, hanno rappresentato un buco nero nella storia ufficiale del nostro Paese. Per cinquantasette anni si è tentato di nascondere gli avvenimenti del confine orientale, con la complicità di un silenzio di Stato, imposto da una classe politica che, pur di mantenere rapporti di buon vicinato con la ex Jugoslavia di Tito, umiliò i profughi giuliano-dalmati, prima negando la verità, poi giustificando le foibe e l’esodo come ritorsione dei popoli slavi per gli atti di guerra posti in atto dall’Italia durante la Seconda Guerra mondiale. Nulla si è detto riguardo il fatto che, attraverso la cessione di buona parte della Venezia Giulia e della Dalmazia, gli esuli hanno pagato, sulla loro pelle e con le loro proprietà, il debito di guerra per la sconfitta di tutti gli italiani. Mezzo secolo di disinformazione e distorsione dei fatti ha confinato nell’oblio e nell’indifferenza gli istriani, i fiumani e i dalmati, i quali hanno continuato a chiedere che fosse loro riconosciuto almeno il diritto alla memoria. Diritto accordato il 30 marzo 2004. Il senato della repubblica, con 502 voti favorevoli e 15 contrari, ha approvato la legge che istituisce il 10 Febbraio “Giorno del Ricordo” dell’Esodo e delle foibe. Spetta alle istituzioni, alle scuole (con libri e testi), ai mezzi d’informazione, divulgare questa tragedia riportando la verità nell’aderenza dei fatti. Per quanto riguarda il sottoscritto, essendo nato nell’Istria posso dire che, il clima che, nei primi giorni del settembre 1943, si respirava nell’Istria e nella Venezia Giulia era del tutto simile a quello del resto d’Italia. La popolazione aveva sopportato con rassegnazione i tre lunghi anni di guerra che avevano portato a tutti, sofferenze e privazioni. Con la caduta del fascismo (25 luglio1943) si sperava che il conflitto si sarebbe concluso senza ulteriori sciagure. Tuttavia destava preoccupazione la particolare posizione geografica della nostra regione Istria, terra di confine con il mondo slavo, ove io nacqui.La notizia dell’armistizio, comunicata per radio la sera dell’8 settembre 1943, venne accolta senza particolare entusiasmo. La presenza tedesca e il movimento partigiano jugoslavo presentavano incognite e incertezze. I reparti militari italiani di stanza nella Venezia Giulia, numerosissimi nel mio paese e dintorni, iniziarono a sbandarsi, dando il via a quello sfaldamento generale delle forze armate italiane che in pochi giorni portò al collasso totale l’apparato statale italiano sul territorio. La dissoluzione dello Stato Italiano nell’Istria e nella Venezia Giulia fu rapidissimo. Le principali città giuliane (Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara in Dalmazia) dopo l’armistizio furono occupate da colonne motorizzate tedesche che puntarono al controllo delle vie di comunicazione, delle infrastrutture portuali e ferroviarie, al disarmo dei presidi italiani, i quali non opposero resistenza. Nella parte interna dell’Istria, da dove provengo, si formarono comitati di salute pubblica composti da personalità non compromesse con il passato regime, ma comparvero anche i partigiani di Tito che insieme ai nostri, iniziarono ad occupare i luoghi lasciati dalle forze dell’ordine del Regno d’Italia ed instaurarono i “Poteri Popolari” gestiti dai Comitati popolari di liberazione orientati verso il Partito comunista jugoslavo. In diversi paesi dell’Istria, dove i tedeschi non erano ancora giunti (come nel mio), si verificò un vuoto di potere ma arrivò anche il terrore. In un clima di crescente anarchia si diffuse la violenza: vennero saccheggiati magazzini, negozi e dati alle fiamme archivi comunali, scuole, asili e caserme militari, lasciate ormai vuote. Ci furono pestaggi e violenze di ogni tipo non solo contro coloro che avevano partecipato per il fascismo, ma anche nei confronti di sloveni che si erano italianizzati o che avevano prestato servizio militare in Italia, oppure contro ragazze slovene che avevano sposato un ’italiano o viceversa o verso donne incinte solo perché italiane.In un improvviso e selvaggio furore, si scatenarono rivalse sociali, nazionali, politiche, economiche e personali. I massacri assunsero una valenza ideologica per la presenza nelle file partigiane di esponenti nazionali slavi, che rivendicarono fin da subito l’appartenenza del mio paese al futuro Stato Jugoslavo (dicevano: tis jè nàs, questo è nostro). I primi a sparire furono le Guardie della Pubblica Sicurezza, Guardie Forestali e Finanzieri ma anche civili inermi, quali: sindaci, segretari, impiegati e messi comunali, maestri e bidelli, dottori e farmacisti, postini e impiegati postali, figure rappresentative dell’amministrazione statale italiana. La pacifica convivenza che da sempre contraddistingueva civili slavi e italiani, si spezzò. Nel territorio dove abitavo, pur essendo di natura carsica non vi erano “foibe”, ma era circondato da boschi. Si ebbero notizie di ritrovamento di molti cadaveri per lo più di civili italiani, rinvenuti “ferrati” come i cavalli. L’arrivo dei tedeschi, iniziato alla fine del mese di settembre 1943 mise fine a tali barbarie. Fu così che i miei decisero, malgrado mia madre fosse autoctona (gli autoctoni dell’Istria hanno il cognome che termina con ich per distinguersi dai nomi croati che invece hanno il nome che termina in ic), di abbandonare tutto, per rifarsi una nuova vita altrove. Festeggiai il Natale 1943 sotto le bombe del primo bombardamento anglo-americano che distrussero in parte la casa dove andai ad abitare, a Vicenza. Avevo quasi 7 anni, e ricordo ancora con nostalgia la mia terra, il mio paese natio e i miei amici sloveni Rudy e Mirka. Dopo gli studi, solo nel 1960 mi si offrì la possibilità di venire a Melegnano, dove mi accorsi che la burocrazia nei mie confronti, non fu, ma non lo è tuttora, giusta, e che male definisce la mia identità di cittadino italiano. Nel corso degli anni, in tempi diversi, mi furono assegnati 2 Codici Fiscali e in vari periodi fui definito: nato all’Estero, straniero, immigrato, profugo, nato in EE, esule, nato in Jugoslavia e in Slovenia. Nel 2002, ormai da tempo in pensione, dopo aver portato in Comune un articolo comparso su un giornale dove si diceva: E’ soltanto colpa dei Comuni se un italiano risulta “straniero”; per avere “giustizia” fui, io, invitato a scrivere, all’Archivio di Stato di Trieste. Dove, evviva, finalmente arrivò un documento con scritto: “nato a S. Pietro del Carso in provincia di Trieste (TS)”. Ma nel 2012 sorpresa, un documento scaricato da Internet per la compilazione dell’IMU vi è ancora il vecchio C.F. e sono ritornato a essere nato in Jugoslavia, anche se essa dopo la guerra civile e sanguinosa del 1992 con la sua disgregazione in numerosi piccoli Stati (Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia, Macedonia, Montenegro e altri) non esiste più. Recentemente avrei dovuto ritirare un premio presso un distributore ENI, ma non posso farlo, perché là sono stato registrato con il C.F. del 1978, mentre io ora ho quello nuovo del 16 dicembre 2002. Inoltre ora, oggi, per effetto di una legge, in alcuni documenti non compare più la provincia dove nacqui (TS) ma solo il paese, poiché dopo il conflitto del 1945 esso è passato sotto un altro Stato. Ora sembra che la cittadinanza agli stranieri venga data in brevissimo tempo, perciò mi auguro che si possa risolvere in breve tempo anche le situazioni di chi come me, italiano, nato in terra italiana, da genitori italiani ma che a seguito di una guerra fu costretto a abbandonare la propria terra Italiana, sancita dai Trattati di Rapallo e di Roma del 1924 ma ceduta col Trattato di Osimo nel 1975, e che una burocrazia assurda ha complicato i nostri documenti carto / burocratici. Noi esuli Istro-Dalmati a fine guerra non fummo liberati da alcuno, anzi, fummo i soli a pagare la sconfitta. Abbandonammo la nostra terra istro/dalmata (conosciuta come Venezia Giulia e Dalmazia) per restare Italiani, poiché restando là, avremmo dovuto rinnegare la nazionalità italiana e diventare “stranieri” in casa propria. In 350.000 abbandonammo l’Istria e la Dalmazia, e più di 12.000 furono infoibati, per lo più vivi, legati tra di loro con filo spinato e altri ammazzati e abbandonati nei boschi, solo perché italiani. L’Italia ci sparpagliò in 3 continenti, Europa, America (per lo più nell’Argentina e Uraguai) e Australia. Affrontammo la nuova vita in situazioni difficilissime. Nulla pretendemmo, mai protestammo, mai ci lasciammo prendere dalla disperazione, mai chiedemmo aiuto e mai pretendemmo che qualcuno solidarizzasse per noi, mai ci lasciammo andare ad atti incivili o di furia rabbiosa. Questa nuova realtà ci convinse che la vita valeva coraggio, impegno, sacrifici, rinunce e correttezza e che nel lavoro e nel vivere quotidiano, avremmo dovuto dare sempre il meglio di noi stessi. Coloro che abbandonarono l’Istria e la Dalmazia, sono italiani due volte, per nascita e per scelta, ossia per volontà di restare Italiani. Istria e Dalmazia addio, terra che per millenni fosti italiana, per storia e cultura.

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