Perché bevono così tanto?

Quando vediamo qualcuno, specie se giovane o giovanissimo, barcollare con una bottiglia di birra o di vino penzolante tra le dita, fermarsi e farfugliare qualcosa di incomprensibile, declamare strani versi in non so quale lingua, diciamo subito che la sbronza gli ha tirato uno brutto scherzo. La sua immagine diventa comica, i suoi gesti scoordinati e in quanto a significato, le sue parole vanno a farsi friggere. Questo qualcuno è destinato a ricevere i proverbiali sfottò.Ci sono, invece, persone che pur bevendo a menadito, riescono a rimanere sobrie, ragionano anche per sillogismi, camminano dritto e non danno segni di cedimento. Tra questi ultimi ci metto pure certi bravi ragazzi che una sbronza li fa diventare più normali agli occhi dei coetanei. Uno di questi ho avuto l’onore di incrociare sulle scale della mia scuola con la sua bella bottiglia di birra mezza scolata al suo fianco, lo sguardo vispo anche se un po’ assente, comodamente sdraiato sui gradini tanto generosi nell’offrirgli una comoda posizione, quanto scomodi per la durezza del piano d’appoggio, una bella sigaretta in bocca e giù a sparlare di questo o di quello. Raccontava qualche sua eroica impresa consumata a scuola ai danni di qualche insegnante, a una ragazza che gli era a fianco, anch’essa con una birra tenuta tra le dita con eleganza e stile tipicamente femminili. Un dato mi è apparso certo. Non erano sbronzi. Anzi, i loro ragionamenti, per quel poco che ho avuto occasione di ascoltare, erano intrisi di una certa ironia. Sembravano due angioletti in vena di confidenze. E parlavano, parlavano e per dirla come Francis Ponge, poeta francese del secolo scorso, riferito al vino: «Basta amarlo, berlo, metterlo dentro di noi. Allora parla. In tutta confidenza, parla». Solo che talvolta si finisce col dire cose che non si dovrebbero dire o, al contrario, si vorrebbe raccontare cose che si hanno in animo di dire, ma che la mancanza di coraggio impedisce di raccontare. Nell’uno o nell’altro caso comunque si sbaglia. E allora nelle cene tra amici o negli aperitivi tra coetanei nascono situazioni imbarazzanti al punto da mettere in cattiva luce sia chi le origina, sia chi le subisce. Non così è stato per il nostro amato Socrate. Lui partecipava volentieri ai simposi, qualcosa come i convegni con il buffet ai giorni nostri, non mancava mai di dare il suo contributo nei salotti intellettuali (anche se ogni tanto si concedeva qualche salotto fuori ordinanza da Teodata, la divina) e in quanto oratore aveva sempre uno spazio particolare da gestire in piena autonomia, senza limiti di tempo. La fine del confronto tra i presenti coincideva sempre con l’inizio delle bevute. Gran bevitore di vino, il Maestro, che alzava spesso il gomito, godeva di una particolare fama di rimanere sobrio fino alla fine delle conferenze. Insomma pare che reggesse bene il vino al punto da raccontare tutto ciò che saliva dal suo animo. Del resto era talmente conosciuto che spesso e volentieri anche senza invito, si presentava al simposio e, per giunta, portava con sé qualche amico, convinto com’era che «a tavola dei grandi, vanno i grandi senza invito». Probabilmente anche per questo i suoi nemici (e ne aveva tanti) lo accusavano di megalomania o addirittura di apologia di sé stesso. Oggi, invece, i nostri giovani amano organizzare i “simposi” ai giardinetti, sulle panchine o sui gradini delle scuole e tra un sorso e l’altro, parlano e parlano. Eccome se parlano. Ma di sobrietà nemmeno a parlarne. Anzi, il più delle volte le bevute, tra risate fragorose e gambe barcollanti, continuano in qualche pub a caccia di mix di aperitivi alcolici che finiscono per conquistare persino i giovanissimi. Che il problema sia maledettamente serio lo dimostra il fatto che ad affrontarlo sono scesi in campo tre ministri. Il ministro della Salute Renato Balduzzi, il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e il ministro con delega alle politiche giovanili Andrea Riccardi. Bisogna pure che qualcuno faccia capire a questi ragazzi, e oggi anche ragazze, incontro a quanti e quali danni va chi beve alcolici, ancor peggio se a dismisura. E siccome l’asticella del proibito in campo giovanile si è abbassata notevolmente, allora sono del tutto comprensibili le preoccupazioni che animano i nostri tre ministri. Il dato più allarmante rimane il fatto che molti adolescenti cominciano con il vino o con la birra, per passare agli aperitivi e alle bevande colorate decisamente alcoliche per finire, infine, ai super alcolici. A questo punto qualcuno deve pure accompagnarli a casa dove saranno accolti dalla comprensione e dalla benevolenza dei genitori sorpresi dalle bravate dei propri figli. Oggi giovani e giovanissimi, sia pure euforici, traballano sotto i tanti bicchieri di vino e le diverse bottiglie di birra consumati tra i paria, lontano dai genitori, il che li rende ancora più fragili e più esposti ai pericoli. Non voglio addentrarmi nei motivi che sono alla base delle cause primarie che portano gli adolescenti a cercare nelle emozioni forti e nello sballo la risposta a certi disagi sociali o famigliari. Ad altri più titolati di me questo compito. Voglio, invece, capire se storicamente siamo in un periodo dove i comportamenti a rischio emergono più di altri nelle fasi di vita adolescenziale o in un periodo che ciclicamente si ripropone e con i quali tutte le generazioni bene o male hanno fatto e fanno tuttora i conti. Ebbene pare che quest’ultima ipotesi sia quella più accreditata. Quello di ragazzi e ragazze un po’ brilli è un problema vecchio come il mondo. Nell’antica Grecia, ad esempio, durante le “Oscoforie”, festeggiamenti in onore di Dionisio, giovanissimi di entrambi i sessi festeggiavano il passaggio dall’adolescenza alla giovinezza con una ubriacatura generale, anche se sotto stretto controllo degli anziani. Come si vede il mondo non è cambiato, ciò che è cambiato, se mai, è lo smisurato consumo di certe bevande. Dai simposi a tema dell’antica Grecia tenuti nelle case di intellettuali sensibili, si è arrivati alle feste goliardiche di oggi tenute nei pub affollati da giovanissimi dove emerge la voglia di divertirsi, affidandosi a un denominatore comune: l’alcol. E se chi beve vino parla senza segreti, «chi beve acqua - come dice Baudelaire - ha un segreto da nascondere».

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