Per la scuola c’è la voglia di cambiare

È finito il conto alla rovescia. L’ultima campanella pochi giorni fa ha fatto sentire i suoi rintocchi e gli alunni si sono avviati all’uscita. I loro occhi allegri - per chi non ha gli esami da sostenere - tutti proiettati verso le vacanze estive.Insieme a loro, verso l’uscita, si sono avviati anche gli insegnanti, i loro occhi son più affaticati. Anche quest’anno le lezioni sono terminate, per qualcuno ci saranno ancora esami o scrutini, ma il più è fatto. E con loro il sistema dell’istruzione pubblica per un’altra stagione ha retto.Purtroppo lentamente il nostro Paese “disinveste” sull’educazione e perdiamo posizioni in Europa anche in un settore dove prima brillavamo. Così ci insediamo al 9° posto con l’1,5% di Pil dedicato alla spesa per la scuola dell’infanzia e primaria, mentre siamo al 7° posto, ex equo con l’Irlanda, con l’l’1,9% del Pil impiegato per la scuola secondaria.Le difficoltà del nostro Paese derivano da due diverse questioni, che sfortunatamente ci colpiscono contemporaneamente e impediscono una maturazione del ruolo dell’istruzione pubblica. Appare utile sottolinearle anche per scardinare una falsa questione, molto ideologica e molto poco reale, circa la contrapposizione tra scuola paritaria e scuola statale, come se fosse la varietà dell’offerta un ostacolo al miglioramento qualitativo dell’insegnamento.La prima questione attiene a un problema strutturale, come mette in evidenza “Allarme infanzia” il Rapporto, prodotto da Save the Children. Occorre un piano di investimento per rispondere a gravi inefficienze: servono lavori infrastrutturali per mettere in sicurezza gli edifici; c’è bisogno di adeguare gli organici del personale insegnante, in modo da ridurre il sovraffollamento scolastico, specialmente nelle periferie dove si incontrano più casi di disagio sociale e più classi multietniche; è necessario poi rinnovare le dotazioni tecnologiche per la didattica, spesso arcaiche di fronte alle sfide innovative della globalizzazione.La seconda questione attiene ad una riforma dei contenuti del sistema dell’istruzione, perché l’insegnamento così come è stato impostato ormai quasi novant’anni fa, forse non risponde più alle esigenze degli uomini e delle donne di oggi. A tale proposito il pedagogista Edgar Morin evidenzia due importanti novità da inserire.Da un lato è urgente mettere a tema la vita. In un periodo in cui si perde quella sapienza popolare che trasmette la saggezza del vivere, sembra essenziale aiutare i bambini e i ragazzi ad apprendere a vivere; come si affrontano i problemi; come si è cittadini nella propria comunità; cosa significa vivere “nella propria appartenenza all’umano”.Dall’altro lato Morin mostra il limite di un insegnamento legato alle singole discipline, ma che non si interessa della conoscenza in quanto tale, senza contemplare i suoi dispositivi, e le sue possibilità di errore. Con questa mancanza non ci accorgeremo mai dalle ambiguità della razionalità o della tecnica e continueremo a costruire nuove barriere comunicative a partire dalle idee, dai dati, dalle scoperte che non si legano tra loro, ma che viaggiano in compartimenti stagno.Per la scuola c’è tanto da fare, ci sarà voglia di cambiare?

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