Per le carceri uno sciopero di fame e sete

«Noi, che a diverso titolo abbiamo a che fare con il mondo delle carceri: o perché vi lavoriamo, da direttori, agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, infermieri, personale amministrativo, volontari, cappellani; o perché facciamo parte di quelle istituzioni che, avendo il compito di legiferare o intervenire direttamente, il problema dell’illegalità delle carceri sono chiamate a risolverlo; o perché siamo proprio gli ultimi, cioè i “detenuti ignoti” che, dovendo pagare un debito per aver violato la legge, siamo vittime dell’illegalità praticata da chi le leggi dovrebbe per primo rispettarle e farle rispettare; o perché scontiamo in carcere una pena anticipata in attesa di un processo che, non dimentichiamolo, con un’alta probabilità riconoscerà l’innocenza della metà di noi; o perché siamo mogli, mariti, figli, genitori, nonni o amici di persone incarcerate; o perché, semplicemente, siamo cittadini democratici che credono nella Costituzione e nello Stato di Diritto; noi riteniamo che sia nostro dovere fornire conoscenza e ascolto della parola e dell’opera del Presidente della Repubblica».

Inizia così l’appello “Un giorno di sciopero della fame e della sete, per la convocazione straordinaria del Parlamento su Giustizia e Carceri”, promosso lunedì da Radicali italiani, associazioni attive nella tutela dei diritti o che operano in ambito carcerario (A buon diritto, Ristretti orizzonti, Antigone), sindacati di polizia penitenziaria.

Il giorno prescelto per l’iniziativa, che affianca Marco Pannella nella sua campagna di legalità e libertà iniziata nell’aprile scorso, è domenica 14 agosto: a testimoniare che i detenuti non vanno in vacanza, e che, a dispetto dei luoghi comuni, non sono affatto in vacanza, perché le condizioni di sovraffollamento, degrado, pericolosità delle carceri italiane – provare per credere, in particolare in estate, a convivere in sei in una cella di sette metri quadrati – le rendono luoghi indegni di un paese civile.

A causa delle condizioni del suo sistema giuridico e carcerario, l’Italia si trova infatti in stato di illegalità e violazione dei diritti umani, sul quale finalmente si apre il dibattito pubblico.

Le parole di Giorgio Napolitano sono quelle pronunciate in occasione del convegno “Giustizia! In nome della Legge e del popolo sovrano”, tenutosi al Senato il 28 e 29 luglio scorso. Parole forti e necessarie, scritte dallo stesso Presidente della Repubblica quale Garante dei diritti costituzionali, che non solo la classe dirigente, ma anche e soprattutto le cittadine e i cittadini italiani devono conoscere.

La questione giustizia e carceri è giunta ormai a un «punto critico insostenibile […] sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia». In Italia, i detenuti sono infatti 66.942 a fronte di 45.681 posti regolamentari in 207 penitenziari (dati al 31 luglio 2011). Le scelte politiche e legislative operate prevedono il «crescente ricorso alla custodia cautelare» e l’«abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva». Nel nostro paese sono ben 27.572 i detenuti in attesa di giudizio: oltre il 40% del totale! «Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo». Nel 2011, in poco più di sette mesi (ovvero alla data dell’8 agosto scorso) sono 120 le persone morte in carcere, di cui 42 suicide; è significativo e preoccupante che a togliersi la vita siano ora anche agenti di polizia penitenziaria, anch’essi vittime delle condizioni inumane degli istituti penitenziari, drammaticamente sotto organico e perciò costretti a effettuare turni prolungati e talvolta a rientrare in servizio dalle ferie (come accadrà agli agenti di Regina Coeli per la visita del neo ministro della giustizia Nitto Palma, il 15 agosto prossimo). Esplicito, poi, il riferimento all’articolo 27 della Costituzione repubblicana: «Evidente in generale è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona», e il richiamo alla politica affinché operi responsabilmente «scelte coraggiose, coerenti e condivise».

Per dare seguito a queste parole, i promotori dell’appello richiedono urgentemente la convocazione straordinaria del Parlamento: «per aiutare questa scelta, il giorno 14 agosto per ventiquattro ore saremo in sciopero totale della fame e della sete anche per simboleggiare la fame e sete di legalità, giustizia e verità del popolo che abita il territorio italiano».

Un primo, importante segnale dalle istituzioni è già arrivato: mercoledì pomeriggio il ministro della giustizia ha ricevuto Marco Pannella per un confronto in tema di giustizia e carceri. Il leader radicale ha ribadito che l’amnistia è l’unico strumento per «procedere a una riforma complessiva del sistema»; per sua parte, Nitto Palma ha dichiarato apertura sulla possibilità di depenalizzare i reati minori per ovviare al sovraffollamento degli istituti penitenziari. Da tempo, per decongestionare le carceri, le associazioni attive nel settore richiedono l’utilizzo temperato della custodia cautelare, il maggiore (e più uniforme, considerata l’ampia discrezionalità) ricorso alle misure alternative alla detenzione carceraria (affidamento ai servizi sociali, semilibertà, arresti domiciliari); la revisione delle leggi in materia di recidiva, tossicodipendenza, immigrazione.

Tra le oltre cinquecento persone che alla data del 10 agosto hanno sottoscritto la partecipazione al “Giorno di sciopero della fame e della sete” (per aderire: www.radicali.it) sono anche volontarie di associazioni lodigiane attive in ambito carcerario e detenuti della Casa circondariale di Lodi, che attraverso questa iniziativa non violenta scelgono di opporre a una male intesa “ragione di stato” la propria ragione di cittadini e cittadine, trasformandola – come afferma Luigi Manconi – in coscienza civile, responsabilità sociale, risorsa pubblica capace di condizionare il sistema dei media e la sfera politica.

Giustizia e carceri riguardano tutti, anche quanti riversano sugli ultimi e su chi dà loro voce il rancore che scaturisce dall’incertezza di questi tempi grigi, perché, come recita in chiusura l’appello, «in assenza di democrazia e diritto [...] è il popolo tutto a rischiare di soccombere». E perché, come scrive Vincenzo Ruggiero, «chi ama la libertà, dopo tutto, dovrebbe avere a cuore anche la libertà di coloro che apparentemente non la meritano».

© RIPRODUZIONE RISERVATA