Pensioni d’oro, argento, bronzo e latta

La crescita “stimata” non c’è stata. Neppure si è goduto il caldo dell’estate, che di solito non manca. Nelle giornate di prolungato maltempo non è comunque mancato il surriscaldamento. Affrontare i gravi problemi in chiave metereologica non è un granché. Ma i nostri politici ci provano sempre. Tra le gravi questioni sulle quali si cimenta l’incomunicabilità tra maggioranza e opposizione, governo e sindacati, uomini di partito ed economisti, quella delle pensioni e dei vitalizi è senz’altro un tema frusto, su cui tutti hanno rivelato la capacità dei veti reciproci, mostrando mancanza di soluzioni e poco coraggio nel ripristinare criteri di equità, schiavi della coazione a ripetersi. Anche se lì per lì il tema è genericamente l’assegno pensionistico si scivola sempre su materie di “interdizione”: diritti acquisiti, regali assimilati, riduzione della ricchezza previdenziale, pensioni d’oro, d’argento, di bronzo, età media di pensionamento, contributi di equità da far pagare a chi? e, naturalmente, le vittime sacrificali (i giovani). Nessuno (si fa per dire) che tenga conto degli scenari aperti, degli squilibri tra generazioni, della necessità qualche “aggiustamento”. L’attenzione è più nel camuffare messaggi. Essenziale, per esempio, quello di allontanare il rischio di interventi sulle pensioni d’oro. Troppo poche per procurare un gettito adeguato alle politiche di welfare (esodati, cassa integrazione). Meglio interventi che vadano dalle pensioni dei nababbi a quelle dei dirigenti d’azienda ex Inpdai e alle minime. La cautela che affiora è di natura comunicazionale. Si fa, per esempio, cenno alle pensioni autonome, ma si evita accuratamente di dire che sono quelle dei coltivatori diretti, degli artigiani, dei commercianti, degli autotrasportatori, degli agenti e rappresentanti e dei loro “collaboratori” familiari. Complessivamente qualche milione di persone beneficiarie di trattamenti che, a causa dei “meccanismi” d’introduzione si possono oggi valutare come “agevolati”. Negli anni di esplosione del debito pubblico, ai lavoratori autonomi fu infatti concesso di andare in pensione con le regole del metodo retributivo, quelle che consentivano allora versando i contributi negli ultimi tre anni di una carriera di ottenere poi assegni del 70-80 per cento dell’ultimo reddito dichiarato. Per carità, quel che è stato è stato. Ma, dicono (sottovoce), per esempio dirigenti industriali, dirigenti di banca, dirigenti ministeriali e di qualche azienda pubblica: “Se appare giusto” chiedere di più a “chi ha di più”, non dovrebbe essere altrettanto giusto chiedere di più anche a “chi ha avuto di più”. Il riferimento allusivo è a quei milioni di autonomi andati in pensione coi loro familiari fittiziamente collaboratori con un versamento di 15mila lire all’anno, o a coloro che nello Stato e nei Comuni si sono messi in pensione dopo una quindicina d’anni di servizio? Polemiche da effetti speciali.La storia del sistema pensionistico nazionale e dei “privilegi” che attorno ad esso sono nati cresciuti e attorcigliati, è una storia su cui non c’è mai stata trasparenza. Non s’è mai voluto fare chiarezza. Vuoi per la lentezza del legislatore ordinario, vuoi perché esistono forti distorsioni tra categorie, vuoi per la particolare forza d’interdizione politica di alcune categorie, vuoi perché i partiti ne hanno sempre fatto motivo di convenienza elettorale immediata a vantaggio anche dei loro eletti. Vuoi anche perchè affidati a comitati di gestione, detti anche di vigilanza, in cui controllori e controllati erano gli stessi.Molti lodigiani non sanno che certi “privilegi” di cui oggi discutono coi leoni del Duomo, sono nati sul loro territorio, in riva al Brembiolo di Casalpusterlengo, dove l’allora deputato Giovanni Mosca, vicesegretario di Ernesto De Martino e segretario aggiunto della Cgil, studiò (con buone intenzioni) quel primo provvedimento che nel 1974 aprì le porte alle “super-agevolazioni” che oggi fanno scandalo, Riguardava persone che nel dopoguerra avevano lavorato nei partiti e nei sindacati senza che fossero stati loro versati i contributi Inps. Anziché punire i loro ”datori di lavoro” inadempienti, come si direbbe oggi, fu inventato un escamotage, riassunto nella legge n. 252/1974, di cui il parlamentare lodigiano fu relatore e per questo chiamata “legge Mosca”. Per i sui meccanismi, i tempi di applicazione si dilatarono fino al 1980, fino a farne beneficiare ben 37.503 persone, con una spesa media annua che gli esperti stimano oggi di 8-9 miliardi. Della cosa se ne parlò quando il governo Prodi si trovo per la prima volta a fare i conti con il delicato terreno della spesa sociale, ma non si arrivò mai a saperne molto. Il promesso elenco dei beneficiari “aventi diritto” non fu mai reso pubblico e forse neppure compilato. Si ignora se per decisione dall’Inps o dal Parlamento stesso. Su questo capitoletto non è troppo singolare l’ amnesia generale che lo ha avvolto.Oggi, il governo continua a tranquillizzare che le pensioni non saranno toccate. Eppure è stato un suo ministro a vagheggiarne l’intervento. Che sia stato smentito è qualcosa, ci si può contentare oppure no. Giornali e opposizione fanno a gara, un giorno sì e l’altro pure, a chi ne sa di più. Se il governo ha predisposto un qualche provvedimento è il caso di scandalizzarsene ancor prima di conoscerne i contenuti? Un “contributo di equità” sul “reddito totale da pensione”, non indiscriminato ma selettivo, al quale far partecipare anche coloro che “hanno ottenuto di più”, avendo quindi una platea ridotta di interessati costituirebbe quell’ ”esproprio proletario” che alcuni temono? O, dalla parte opposta, caricherebbe di “ulteriore spoliazione” il martirio dei poveri pensionati?Non potrebbe - semplice ipotesi, niente di più – essere l’occasione affinché si compiano passi verso quelle scelte di “equità attuariale e intergenerazionale” che, attraverso scenari simulati vanno esponendo e proponendo, fuori da logiche elettorali e conservative alcuni studiosi, esperti nel portare a galla i “trucchi”con cui sono stati concessi trattamenti generosi a categorie specifiche di pensionati?

© RIPRODUZIONE RISERVATA